Edizione 2022: le Corone e le Golden Star di Vinibuoni d'Italia

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Si sono concluse venerdì 27 agosto le finali nazionali che hanno assegnato le Corone e le Golden Star alle 904 etichette finaliste dell'edizione 2022 di Vinibuoni d'Italia.

Ancora in crescita il numero di campioni ricevuti per un'edizione che vede un'ulteriore aumento delle aziende selezionate.

Una qualità molto elevata che ha portato 904 etichette in finale, selezionate tra i vini con punteggio massimo che si sono ulteriormente distinti nelle varie commissioni regionali e tra gli spumanti Metodo Classico della sezione Perlage.

Il proseguio dell'emergenza nazionale e mondiale non ci ha consentito di tornare all'edizione itinerante delle finali della guida, che si sono pertanto svolte ancora una volta nella sede della redazione a Vezza d'Alba, rinunciando a malincuore anche quest'anno alle commissioni parallele del progetto Oggi le Corone le decido Io, che ci auguriamo di poter ripristinare dalla prossima edizione.

Ringraziamo i Coordinatori che hanno potuto essere presenti e quelli che hanno dovuto rinunciare, la Redazione e tutto lo staff che hanno consentito di svolgere le selezioni finali al meglio e in sicurezza.
Il lavoro delle 2 commissioni nei 4 giorni di degustazione ha portato all'assegnazione di 165 Golden Star e 739 Corone, massimo riconoscimento della guida.

Complimenti per i meritati riconoscimenti a tutte le aziende premiate, nell'attesa di poter nuovamente raccontare le eccellenze vitivinicole italiane con il lavoro di promozione che Vinibuoni d'Italia porterà in tour con Enoteca Italia, a partire da Vinòforum a Roma, dal 10 al 14 settembre.

Di seguito i link per consultare gli elenchi dei vini premiati e il link alla cartella stampa con le foto delle finali e gli elenchi dei premiati in formato Open Office

Le Corone 2022

Le Golden Star 2022

Cartella Stampa - foto ed elenchi premiati[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Dolce Natale con Vinibuoni d’Italia

Il Natale, oltre che ricorrenza cristiana, è una delle feste più antiche del mondo contadino. Le sue radici, che sono molto più vecchie della nascita di Cristo, affondano nelle prime civiltà di agricoltori che temevano l’incubo di una notte eterna, e che a ogni solstizio d’inverno festeggiavano la rinascita del Sole. Il momento della gioia era solitamente allietato da cibi rituali, che man mano nella storia hanno definito i tratti di una cultura gastronomica territoriale entrando a far parte della tradizione. L’italia vanta una ricchezza inestimabile di dolci tipici natalizi e tra gli ingredienti si ritrovano elementi antichi come il miele, la frutta secca, il pane a volte poco lievitato. Ogni territorio, a volte quasi ogni borgo, ha la sua tradizione che vale la pena esplorare cercando insieme di accomunare alle ricette antiche anche i vini autoctoni tipici, che sono un monumento della cultura territoriale italiana.

Tralascio in questo percorso il Panettone e il Pandoro nel cui abbinamento sconsiglio vivamente di abbinare spumanti secchi come i pas dosè, i brut e gli extradry che non sono assolutamente adatti. Nell’abbinamento abbiamo bisogno di un vino da dessert, caratterizzato da una vivace freschezza ed una intensa sapidità, come sono l’Asti, il Moscato d’Asti, il Brachetto d’Acqui, la Malvasia di Casorzio e di Castelnuovo Don Bosco che con le loro bolle tendono ad alleggerire il palato dal gusto soffice, leggermente grasso e vanigliato. Sia il Panettone che il Pandoro non sono dolci particolaremte strutturati - a meno che non siano farciti - pertanto non richiedono vini da dessert troppo complessi.

• Valle d’Aosta
Chi è in Valle d’Aosta nelle festività natalizie avrà l’opportunità di provare il sapore antico ed autentico della Micoula, un pane delizioso a base di segale e castagne tipico della Valle di Camporcher dove ancora oggi allieta il Natale con la sua ricetta di origine medievale arricchita, nel corso dei secoli, con diversi ingredienti deliziosi, tra cui l’uvetta, le castagne, le noci, i fichi spezzettati, il cioccolato fondente a pezzetti. Non può mancare l’abbinamento con il Blanc de Morgex e de La Salle vendemmia tardiva. Vino eroico ottenuto da uve Prié blanc raccolte ai piedi del Monte Bianco a oltre mille metri di altitudine. Sensazioni di origano, timo, menta si fondono con note di miele, albicocca e agrumi; la dolcezza lascia spazio alla freschezza e alla sapidità finali.

• Piemonte
Il Tronchetto di Natale si ritiene sia nato in Francia, preparato sin da epoca medievale, per poi giungere in Piemonte, dove era particolarmente diffusa l’usanza di conservare un grosso ceppo da bruciare nel camino durante la notte di Natale per riscaldare simbolicamente Gesù Bambino. In tal caso il dolce piemontese sarebbe un parente molto prossimo del cosiddetto “Buche de Noel”. Esistono differenti versioni della ricetta del tronchetto di Natale, ma quello della tradizione piemontese annovera alcuni ingredienti che generalmente non mancano mai in nessuna versione, come i marroni, il cacao ed il brandy. Ottimo l’abbinamanto con il Barolo chinato, vino speciale aromatizzato con corteccia di china calissaja, radice di rabarbaro e di genziana e seme di cardamomo, caratterizzato da equilibrio e dall’armonia nel profumo, dall’immediata gradevolezza del gusto e dalla piacevole persistenza aromatica.

• Liguria
La tradizione natalizia ligure annovera il Pandolce. I Genovesi potrebbero aver tratto ispirazione dalla Persia dove il suddito più giovane all’alba di Capodanno, porgeva al Sovrano un grande pane dolce a base di canditi, miele e mele da dividere fra i commensali. In effetti anche a Genova il pandolce, chiamato Pan co-o zebibbo veniva portato in tavola dal più giovane della famiglia. L’ammiraglio Andrea Doria, nel ‘500 indisse un concorso fra i pasticceri locali, per creare un dolce degno del matrimonio del nipote. Così venne codificato il pandolce genovese nella versione alta, affiancato poi, qualche secolo più tardi, dalla moderna versione bassa. Lo abbiniamo con lo Sciacchetrà, il vino passito più famoso della Liguria che nasce eroico sui ripidi costoni delle Cinque Terre. Il vino, giallo ambrato e luminoso, si presenta al naso con note fresche di agrumi canditi, frutta secca e richiami di erbe aromatiche.

• Lombardia
Fra le montagne lombarde la farina di elezione è quella di grano saraceno che tuttoggi si utilizza per preparare la Bisciola, chiamata panettone valtellinese. La leggenda racconta che il dolce tipico sia nato sul finire del XVIII secolo quando Napoleone si fermò proprio in Valtellina prima di terminare la Prima Campagna d’Italia. In quell’occasione chiese ad un cuoco del posto di preparare un dolce tipico ed egli, con gli ingredienti a disposizione, creò questo dolce, che abbiniamo con il Moscato di Scanzo, perla della produzione enologica bergamasca. La sua storia è molto antica e la sua coltivazione sembra sia stata diffusa dai Romani che lo ereditarono dai Celti. Si colgono al naso rosa passita, frutta fresca e frutta candita e spezie. In bocca è morbido, vellutato e garbatamente dolce.

• Emilia Romagna
Si ritiene che la Spongata sia il dolce più antico d’Italia. Già nel “Satyricon” di Petronio si parlava di una torta con ingredienti analoghi. La ricetta sarebbe poi stata codificata nel monastero delle Benedettine di Brescello nel 1480: il nome deriva da “sponga” (spugna), per via della superficie spugnosa. Secondo un’altra scuola di pensiero, la spongata sarebbe l’evoluzione di un dolce tradizionale delle montagne engadinesi, disceso durante i secoli lungo lo stivale in Lombardia, poi in Emilia. Accanto al Biscione reggiano, la Spongata è uno dei tipici dolci natalizi. L’involucro di pasta frolla racchiude miele, mandorle, pinoli e uva sultanina, aromatizzate da cannella, noce moscata e chiodi di garofano. Irrinunciabile l’abbinamanto con l’Albana passito ricco al naso di frutta esotica matura e secca con richiami di miele. Il corpo è vellutato, gradevolmente caldo e ha finale lungo e persistente.

• Trentino e Alto Adige
Lo Zelten è dolce natalizio accomuna le due aree. Della prima ricetta dello Zelten si ha traccia già nel 1700 e il nome deriva dal termine tedesco selten che significa raramente, proprio perché questo dolce veniva preparato una volta all’anno, esclusivamente per Natale. Nonostante la varietà degli ingredienti si differenzi da zona a zona, si può comunque riconoscere un impasto di base comune ad ogni qualità di zelten, costituito da farina, uova, burro, zucchero e lievito. La qualità di frutta secca maggiormente impiegata è invece costituita da noci, fichi secchi, mandorle, pinoli e uva sultanina.

Per l’abbinamento abbiamo l’imbarazzo della scelta, e se in Trentino lo vorranno con il Vino Santo - passito dei passiti - ottenuto dall’uva Nosiola, in Alto Adige c’è chi lo predilige con il Gewurztraminer, che intriga per i suoi profumi tropicali e speziati, oppure con il Moscato rosa passito.

• Veneto
Dal 1200 a Verona il Natale si festeggia con un dolce chiamato Nadalin. Questo dolce fu inventato appunto nel duecento per festeggiare il primo natale di Verona sotto la signoria degli Scaligeri. Il Nadalin, molto simile nella ricetta al Pandoro, è meno burroso e fragrante, ma più compatto e dolce. Anche la forma è differente: se infatti il pandoro ha una forma a stella ed è molto alto, il Nadalin è molto più basso e non ha una forma ben precisa, anche se spesso però è a stella o a cupola. A metà del 1800 da un’elaborazione del Nadalin verrà ricavato un dolce più alto, soffice e leggero ovvero il Pandoro. Ottimo l’abbinamento con lo spumanate Fior d’Arancio ottenuto da uve moscato giallo sulle pendici dei Colli Euganei; vino intensamente aromatico con bouquet di frutta esotica e scorza d’arancia.

• Friuli Venezia Giulia
La Gubana è il tipico dolce friulano che fa subito Natale. Si dice che la Gubana sia una versione friulana della “potizza”, un dolce tipico sloveno che in alcune zone della Slovenia viene significativamente chiamato gubanica o giabnica. Nonostante la scarsa certezza sulle sue origini si sa invece che questo particolare dolce era già apprezzato nel XV secolo poichè fu preparato a Papa Gregorio XII, quando, nel 1409, visitò la città di Cividale. La pasta lievitata è farcita con frutta secca, uva passa, amaretti, noci, mandorle e miele. Va assaggiata con un bicchiere di Picolit, gemma enologica italiana prodotta dalle uve omonime. La particolarità di questo vitigno sta nel fatto che sui grappoli si sviluppano pochi acini e questo fa sì che a maturazione raggiunta diventino particolarmente dolci. La successiva vinificazione dà luogo ad un vino dalla spiccata eccellenza.

• Toscana
Il Panforte di Siena è testimoniato già a partire dall’anno Mille, anche se all’epoca era probabilmente riservato ai più ricchi, visto l’impiego oltre a miele e frutta secca di spezie pregiate come la cannella e la noce moscata. Oggi il suo sapore è molto dolce, ma in passato la preparazione della frutta sembra che non sempre andasse a buon fine, dando al pane dolce un sapore acido, cioè forte. La tradizione di gustare il panforte toscano proprio per Natale è riportata dallo stesso Pellegrino Artusi, che ne La scienza in cucina (1891) lo raccomanda per il pranzo natalizio.

Non possiamo esimerci dall’abbinarlo al Vin Santo dal profumo intenso ed etereo in cui spiccano richiami al miele, alle noci e all’uva passa. Vellutato ed armonico, il sapore può presentarsi secco. Nell’abbinamento lo consigliamo spiccatamente rotondo, amabile ed abboccato e tuttavia fresco sul finale.

• Umbria
Il Panpepato è un dolce di origini antichissime che viene preparato durante le feste natalizie in Umbria, soprattutto nella provincia di Terni. Antesignano del Panforte di Siena, il Panpepato è un dolce della tradizione contadina le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Un dolce caratteristico dei periodi di festa, perché ricco di spezie, cioè di ingredienti costosi che i comuni mortali una volta si potevano permettere raramente. In Umbria le differenze si moltiplicano ulteriormente, tanto che sono considerati tipici sia il Panpepato di Terni, sia quello di Spoleto, sia quello di Foligno. Dove il primo è fatto con pochissima farina ma è ma molto più ricco di ingredienti: spezie, frutta candita, liquori, caffè e mosto cotto. Da abbinare al Montefalco Sagrantino Passito, dai tipici sentori di frutta matura con evidenti note di marmellata, prugna secca e ciliegia, note di vaniglia e cannella supportate da grande struttura, lunga persistenza aromatica, dolcezza e finale tannico. Da non disdegnare un Orvieto muffato.

• Lazio
Il Pangiallo è un dolce che ha la sua origine nell’antica Roma dell’era imperiale. Era, infatti, usanza di quei tempi distribuire questi dolci dorati, durante la festa del solstizio d’invern, in modo da favorire il ritorno del sole.. Il suo colore dorato è ottenuto con una miscela di farina e spezie tra cui anche lo zafferano. In passato per la preparazione si usavano i noccioli essiccati della frutta estiva come le pesche e le prugne; oggi si preferiscono mandorle e nocciole, e alcuni aggiungono anche un poco di cioccolato. Il consiglio è di abbinarlo con l’Aleatico di Gradoli, vino rosso passito dai profumi intensi di marasca e di rosa canina in confettura. Ottimo il Moscato di Terracina passito con i suoi profumi di albicocca, di fichi in confettura, di cardamomo e macchia mediterranea; dolce al palato e nello stesso tempo leggero e vivace grazie alla lieve vena acida.

• Marche
Le origini del Frustingo, con la variante del Bostrengo pesarese, risalgono addirittura al sec. XIII. Oggi nelle Marche esisterebbero addirittura ventidue modi diversi di preparare questo dolce natalizio molto calorico e gustoso. Nato come piatto povero realizzato utilizzando frutta secca, un tempo poco costosa perché abbondante in campagna e altri ingredienti che avanzavano (farina, pane raffermo, riso cotto), oggi è una prelibatezza. Appoggiamolo sulle splendide versioni del Verdicchio Passito con i suoi aromi di frutta candita e cotognata, miele, spunti di spezie e uva sultanina. La nota dolce non è mai eccessiva ed è in armonia con la grande sapidità e freschezza finali.

• Abruzzo
Uno dei dolci tipici della tradizione natalizia dell’Abruzzo è il Parrozzo, realizzato con un impasto a base di semolino e mandorle e una copertura di cioccolato fondente, mentre all’interno ha una pasta morbida, gialla e profumata. Era un antico pane delle mense contadine che i pastori abruzzesi - soprattutto pescaresi - ricavavano dalla meno pregiata farina di granoturco. Il consiglio è di provarlo con un Moscatello passito delle Colline Pescaresi. Il vino nasce da uno dei più antichi vitigni della regione. Al naso presenta profumo di fiori, confettura, frutta matura a polpa bianca. In bocca è intenso, ricco di aromi e sentori di uva passa.

• Molise
Se vi spingete in Molise e avrete un po’ di fortuna, in alcuni ristoranti troverete i Caragnoli. Si tratta di golose frittelle a forma di elica ricoperte di miele; una delizia che abbonda sulle tavole molisane soprattutto nel periodo natalizio. Proponiamo queste frittelle con un Moscato Passito del Molise, vera e propria chicca che suggerisco per palati fini ed esigenti. Nelle versioni migliori il suo colore è giallo oro brillante leggermente ambrato; ha un profumo fresco ed intenso, con richiami ai fiori d’arancio e zagara; un vino ricco, dolce senza eccessi perchè rinfrescato dalla vena acida finale.

• Puglia
In Puglia a Natale vengono preparati dei dolci chiamati Cartellate, composti da nastri dentellati di sottile sfoglia di pasta ottenuta con farina, olio e vino bianco e arrotolati a spirale su se stessi, fritte in olio di semi e cosparse di vincotto. La leggenda vuole che la loro forma voglia richiamare l’aureola di Gesù Bambino. La loro preparazione è un vero e proprio rito conviviale che coinvolge gran parte della famiglia. La storia delle cartellate, secondo alcuni, sarebbe addirittura millenaria. In una pittura rupestre del VI a.C., rinvenuta vicino a Bari, è raffigurata la preparazione di dolci molto simili a questi, probabilmente di origine greca, realizzati come offerte votive da donare agli Dei. Il matrimonio perfetto è con il Moscato di Trani. Il suo bouquet è intenso con richiami alla frutta candita e agli agrumi. In bocca il vino è avvolgente, lungo e complesso con un finale mai stucchevole.

• Basilicata
I Calzoncelli sono uno dei tipici dolci di Natale della Basilicata. Si tratta di dolcetti molto antichi fatti di pasta sfoglia con farina di grano, farciti con crema di ceci e con profumo di cannella, ma si possono fare anche di castagne e cioccolato. Dopo averli fritti, si coprono con dello zucchero a velo oppure con del miele. Il matrimonio perfetto è con il raro Matera Passito ottenuto dalla vinificazione in purezza di uve Greco. Il vino è caratterizzato da un luminoso colore giallo intenso con riflessi dorati e da un aroma delicato in cui spiccano sentori di miele e frutta candita; il sapore è dolce, armonico e persistente.

• Campania
La Campania vanta numerosi dolci per rallegrare la tavola del Natale, ma gli Struffoli sono forse i più conosciuti. L’origine di queste palline fritte, irrorate di miele e guarnite di frutta candita, sarebbe greca e il nome struffoli deriverebbe “strongoulos” che significa di forma tondeggiante. La loro diffusione avvenne in epoca moderna grazie ai conventi napoletani, dove le suore li preparavano per offrirli come dono natalizio alle famiglie nobili che si erano distinte per opere di carità. Esistono numeroso varianti ed ogni famiglia vanta quella più “tradizionale”. Una Falanghina passita del Sannio rende l’abbinamento perfetto, grazie alla sua elegante persistenza in cui appaiono intensi i sentori di confettura, di miele e frutta candita, sostenuti da buona struttura e grande spessore gustativo con finale fresco.

• Calabria
In Calabria, i Fichi chini a crocette sono il dolce simbolo religioso del Natale. Sono fichi farciti con mandorle, noci, cioccolato e canditi. Questa tradizione pare risalga all’epoca romana quando era usanza di far essiccare i fichi e farcirli di frutta secca. Durante il Medioevo, con ogni probabilità, fu di alcune monache l’idea di sovrapporli creando delle croci per attribuire alla ricetta una connotazione religiosa. Li consiglio vivamente abbinati al Moscato di Saracena, prodotto vinificando uve guarnaccia, malvasia, e il raro moscatello che solo a Saracena raggiunge l’eccellenza. Il risultato è un vino dal lucente color ambra; le note resinose e aromatiche si uniscono a sentori di fichi secchi, frutta esotica, mandorle e miele. Al palato è elegante e finissimo.

• Sicilia
In Sicilia troviamo il Buccellato, dolce antichissimo che ancora oggi viene preparato in occasione del Natale. Il suo nome deriva dal tardo latino “buccellatum”, pane da trasformare in buccelli, ossia bocconi morbidi. Diverse sono le varianti per forme e misure e la farcia può essere di mandorle oppure di fichi con un impasto di mandorle pelate, zucca candita e gocce di cioccolato. La Malvasia delle Lipari è la degna compagna. Al naso ha sentori di fichi secchi, datteri, albicocca matura, miele e spezie dolci, mentre la bocca è segnata da una vellutata morbidezza, dolcezza non stucchevole, grande armonia e lunga persistenza.

• Sardegna
Nella regione le famiglie durante le feste natalizie preparano innumerevoli dolci tipici della tradizione. Tra questi il Pane'e Saba. É un dolce tipico delle feste che viene consumato in occasione soprattutto del Natale, sebbene in passato si preparasse prevalentemente in occasione delle feste di “Tutti i Santi”, periodo in cui, terminata la vendemmia, il mosto è pronto per poter produrre la sapa (o saba). Per chi non lo sapesse la sapa si ottiene dal mosto d’uva, il quale viene fatto bollire per 8/10 ore a fuoco lento fino ad ottenere uno sciroppo denso dal colore scuro. Il matrimonio perfetto è con il Cannonau passito ricco di note mediterranee e di mirto. Al gusto si presenta morbido, pieno e intenso, con un buon equilibrio e lunghissima persistenza che riprende le note olfattive.

LA BARBERA D’ASTI E’ UN VINOBUONO

Asti, 20 gennaio - Per comprendere il ruolo della barbera d’Asti è sufficiente osservare i numeri della guida Vinibuoni d’Italia: 47 aziende recensite, 9 corone d’oro e 7 corone arancio assegnate, rendono la DOCG astigiana indiscussa protagonista della qualità vitivinicola piemontese.

“La crescita della barbera d’Asti è sotto gli occhi di tutti – sentenzia il curatore nazionale della guida Vinibuoni d’Italia Mario Busso -, e questo lo si deve ad un grande lavoro che la filiera ha compiuto su sé stessa e sul prodotto. Credo che la strada imboccata, fatta di territorialità e qualità, non possa che rilanciare sempre di più l’immagine di questo vitigno, espressione compiuta del Piemonte da bere”.

“Poiché l’attenzione posta da Vinibuoni d’Italia all’identità territoriale è la stessa che anima il Consorzio Barbera d’Asti e vini del Monferrato – dichiara il Presidente Filippo Mobrici – la nostra soddisfazione per questi numeri è doppia. A tal proposito voglio ringraziare tutte le aziende che quotidianamente si impegnano affinché la Barbera cresca, garantendo loro che il Consorzio farà tutto quello potrà perché a questa crescita qualitativa corrisponda un riconoscimento economico, effettivo e duraturo”

“Siamo contenti di questo duplice premio – ci dice Mauro Pavia, che assieme alla propria famiglia gestisce l’azienda Agostino Pavia & Figli, una delle quattro ad aver ottenuto tanto la corona d’oro quanto quella arancio –. Il percorso per realizzare un grande vino è costellato di fatiche ed errori, per questo oggi ci godiamo questo riconoscimento, nell’auspicio che non sia che il primo di una lunga serie”.

L’evento di premiazione e la consegna dei diplomi di merito, organizzata in collaborazione anche con la Banca di Asti e il Consorzio della Barbera d’Asti, si terrà giovedì 21 gennaio, presso la sala Congressi della Banca di Asti, in Piazza della Libertà 23, ad Asti, a partire dalle h 17.00.

Lessini Durello, un vulcano di bollicine

LA ZONA-ORIGINI
Passaggio dalla pianura alle Prealpi Venete, i Monti Lessini sono il risultato dell’attività d’antichi vulcani che sollevarono il fondo del mare decine di milioni d’anni fa, portarono alla superficie materiali basaltici e depositarono considerevoli quantità di tufo; si vennero a creare in tal modo terreni ideali per l’agricoltura, soprattutto per la coltivazione della vite, poiché la conformazione dei suoli ha la capacità di trattenere in buona misura il calore del giorno per renderlo durante la notte, e la porosità fa sì che si accumulino le acque piovane, che sono rilasciate all’occorrenza.
Un ambiente siffatto non può che essere ideale per ottenere frutti di qualità che portano al loro interno l’impronta della terra d’origine, siano essi ciliegie o uva: troveremo così una certa salinità ed un gusto di fondo unici, assai gradevoli e di gran soddisfazione. Inoltre, la conformazione chimica dei suoli costituisce una certa barriera al proliferare di molte specie d’insetti dannosi alle coltivazioni, limitando in tal modo l’impiego d’antiparassitari e favorendo l’uso di rimedi naturali, non invasivi e rispettosi dell’ambiente. I vigneti convivono con altre colture e con i boschi, costituendo un ecosistema unico, ulteriormente valorizzato dal Parco Naturale dei Monti Lessini.

LA STORIA
Ritrovamenti di fossili preistorici in alta Valle d’Alpone testimoniano la presenza di antenati dell’attuale vitis vinifera e confermano l’antica e consolidata vocazione enologica dei Monti Lessini. I Romani conoscevano e coltivavano qui dell’ottima uva da vino dalla caratteristica buccia molto resistente chiamata “duràcinus”, nome modificato in “Durasena” in epoca medioevale ed in seguito nell’odierno “Durella”.
Più di mille vendemmie la fanno rientrare nella categoria dei vitigni autoctoni, dei quali l’Italia custodisce il maggior numero al mondo. La Repubblica di Venezia favorì la coltivazione della Durella e la produzione di questo vino, arrivando a prescrivere d’imbarcarne una certa quantità sulle proprie navi mercantili a fini curativi e corroboranti, vista la spiccata acidità che lo contraddistingueva, caratteristica che troviamo anche oggi.

IL VITIGNO E I VINI
La Durella è un vitigno generoso con grappoli compatti formati da bacche dal bel colore giallo oro, dalla buccia spessa e resistente, ricche di tannini nobili e con buona dose di sostanze acide, che, pur non essendo facili da domare, forniscono ottimi spunti per la produzione di vini, sia fermi sia spumantizzati. I terreni d’origine vulcanica forniscono alla pianta non solo ottimo nutrimento, ma soprattutto sali minerali e microelementi che donano interessanti doti di sapidità al vino, trasformandolo da tendenzialmente rustico in un prodotto delicato e beverino. L’evoluzione del gusto e delle ricerche applicate all’agricoltura ed alla vinificazione hanno modificato i caratteri del Durello, senza tuttavia snaturarne lo spirito: grazie alla caparbietà di agricoltori illuminati la tradizione è stata mantenuta; leggere modifiche sono state sperimentate con successo ed applicate su vasta scala. Un’oculata opera di comunicazione ha fatto sì che i vini dei Monti Lessini non perdessero la propria identità, ma ne acquisissero una al passo coi tempi per ritagliarsi uno spazio ben definito ed un’univoca identità.
Il Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello ha svolto opera meritoria nell’accompagnare i vignaioli in una sorta d’esplorazione delle potenzialità di quest’uva squisitamente territoriale, affinché si riuscisse ad esprimere in modo compiuto quello che si definisce terroir: un termine che non comprende solo le caratteristiche del terreno e del clima dell’area, ma che soprattutto racchiude l’insieme delle conoscenze e delle tradizioni che si sono stratificate nel tempo, che perciò non possono che essere uniche. La Doc Monti Lessini Durello, che risale al 1988 e che individua comuni in provincia di Verona e di Vicenza, prevede differenti tipologie, sia di vini fermi sia spumanti. 
È da questi ultimi che stanno giungendo le maggiori soddisfazioni, poiché si stanno sfruttando le doti innate dell’uva, valorizzandole al punto che oggi esiste la Doc Lessini Durello, che comprende vini prodotti secondo il Metodo Martinotti-Charmat ed il Metodo Classico; due strade che portano a destinazioni differenti ma con elementi in comune, rappresentati dalla piacevole freschezza e dalle inconfondibili note minerali accompagnate da netti ricordi di mela renetta