Viti a piede franco candidate al patrimonio Unesco

La Campania - come ci spiega Pasquale Carlo curatore della regione per Vinibuoni d’Italia - è ricca di viti monumentali, vigneti vecchi che hanno più di un secolo di vita. Una ricchezza dovuta soprattutto alle caratteristiche dei suoi suoli vulcanici, ma anche alla strenua difesa che in alcuni territori ha visto protagonisti produttori appassionati e testardi.

Tra queste vigne ci sono quelle che ai Feudi di San Gregorio chiamano i “Patriarchi”. Siamo in Irpinia e parliamo di piante allevate a piede franco, su suoli di matrice vulcanica e sabbiosa, scampate al flagello della fillossera che da queste parti arrivò tardi, nel secondo decennio del Novecento. Ceppi che da tempo sono oggetto di un progetto di ricerca scientifica e genetica, che si avvale di contributi importanti: da Attilio Scienza, ordinario di viticoltura all’Università di Milano, a Luigi Moio, ordinario di viticoltura dell’Università di Napoli”.

Come si evince parliamo di un inestimabile tesoro genetico, diventato parte del patrimonio dell’importante azienda irpina.

Le viti più interessanti sono state codificate e riprodotte, e vivono nei nuovi impianti di aglianico nel vigneto chiamato “Dal Re”.

“Le viti centenarie di aglianico a Taurasi - dichiara Antonio Capaldo, timoniere di Feudi di San Gregorio - non sono soltanto un simbolo o una testimonianza storica. Sono la linfa vitale per tutti i nostri nuovi impianti, che nascono dalle sue gemme. L’equilibrio che i nostri “Patriarchi” hanno raggiunto negli anni - continua Capaldo - ci insegna molto su quella che potrebbe essere la migliore viticoltura per il futuro, non solo in termini di biodiversità, ma anche in termini di sostenibilità. Questa grande risorsa costituisce una importante banca dati che permetterà di sbagliare meno in merito alle scelte agronomiche, soprattutto in termini di metodi di allevamento, di equilibrio foliare...”.

Proprio Feudi di San Gregorio fa parte del gruppo europeo di viticoltori "Francs de Pied", presieduto da Loïc Pasquet di Bordeaux, che sta lavorando al riconoscimento dei vitigni prefillossera da parte dell'Unesco. Il gruppo è stato fondato a Monte Carlo sotto il patrocinio del principe Alberto II. Oltre a Loïc Pasquet, fanno parte dell’associazione noti viticoltori della scena enologica europea tra i quali gli italiani Andrea Polidoro di Cupano (Montalcino), Contrada Contro (Marche), e Feudi di San Gregorio (Campania).

Un comitato scientifico sta attualmente lavorando con “Francs de Pied” per preparare la candidatura Unesco. È prevista anche una certificazione per aiutare i consumatori a riconoscere i vini prodotti con uve di viti non innestate e il comitato scientifico sarà responsabile della certificazione delle bottiglie.

San Salvatore 1988

Sono i particolari che rendono le cose speciali, le piccole differenze che insieme fanno la differenza. Come la storia di
San Salvatore 1988, azienda agricola fondata nel 2005 da Giuseppe Pagano nel parco nazionale del Cilento, territorio ricco di storia scelto tremila anni fa da greci e romani per consolidare il più antico dei legami: quello tra uomo e natura.Ed è qui che nasce la sfida di tracciare un sentiero nuovo dove coesistano cura per il terroir, rispetto per la memoria agricola collettiva, innovazione ed etica.
Una terra unica per chi vi lavora e porta avanti questa visione nel tempo. Uomini e donne che ci aiutano a tenere il passo delle stagioni e a far nascere prodotti che sono gli ambasciatori del Cilento nel mondo.
Ed è nel vigneto di Paestum che nasce il Vetere Igp Paestum Rosato. Aglianico in purezza, dal rosa tenue luminoso, dal delizioso bouquet floreale e dal tannino morbido, rinvigorito da ottima sapidità. Sorso permeato da un registro gustativo subito piacevolmente fresco, profondo e lineare. Perfetto su cibi leggeri e in abbinamento alla mozzarella di bufala. Una novità è il Vetere Limited Edition, un omaggio a Paestum, alla storia e una piccola opera d’arte.

San Salvatore 1988
Via Dioniso
Giungano (SA)
Tel. 0828 1990900
www.sansalvatore1988.it

Marisa Cuomo

Le cantine sono situate a Furore, a circa 500 metri sul livello del mare, in un’area della Costiera Amalfitana particolarmente vocata per la produzione di vini di pregio grazie alle condizioni uniche della natura del suolo, del clima e dell’ambiente.
Marisa e Andrea Ferraioli, insieme ai figli Raffaele e Dorotea, fin dai primi anni della loro bellissima storia nel mondo del vino sono accompagnati dal professor Luigi Moio, enologo e docente universitario tra i massimi esperti italiani del settore. Insieme sono riusciti in quasi vent’anni a produrre vini unici capaci di emozionare tanti appassionati nel mondo intero.
Le vigne sono coltivate su un terreno di natura dolomitica con il sistema di allevamento a pergola su meravigliose terrazze a picco sul mare sostenute da muretti a secco chiamati ‘macerine’.
Un lavoro certosino, portato avanti con grande impegno e fatica in un ambiente estremo. Le varietà d’uva, tutte autoctone, un patrimonio ampelografico unico, hanno trovato in questi luoghi di incomparabile bellezza il loro habitat ottimale; come il Piedirosso e l’Aglianico che danno vita al Costa d’Amalfi Rosato particolarmente indicato per accompagnare la tradizionale pausa pranzo.

Marisa Cuomo
Via G.B. Lama, 16/18
Furore (SA)
Tel. 089 830348
www.marisacuomo.com

Villa Matilde

Villa Matilde Avallone è oggi uno dei principali produttori di vini di qualità della Campania con un focus, portato avanti da quasi sessant’anni, sulla rinascita e sulla valorizzazione di vitigni e di vini dell’antichità come il Falerno, bevuto da Giulio Cesare e Cleopatra, e le diverse tipologie dei più importanti vini autoctoni da uve coltivate nelle vigne di proprietà.È ubicata a Cellole, in provincia di Caserta, tra Roma e Napoli, a pochi minuti di distanza da note località balneari laziali e campane.
All’interno della tenuta si sviluppa una deliziosa struttura recettiva composta da camere, appartamenti, ampi giardini, piscina e un ristorante aperto tutto l’anno nel quale vengono proposti piatti elaborati prettamente con materie prime di propria produzione. Deliziosa la prima colazione con dolci e confetture fatte in casa. Si organizzano visite guidate e degustazioni dell’intera gamma dei vini aziendali. Nel mese di settembre è possibile vivere il fascino della vendemmia notturna assistendo alla raccolta delle uve bianche ubicate nelle vigne collinari di Sessa Aurunca. L’azienda dispone anche di un’enoteca e di una piccola spa a uso esclusivo della suite Torre Falerno realizzata in un antico silos ristrutturato, distribuita su tre piani, perfetta per un soggiorno di coppia nella natura e in pieno relax.

Villa Matilde
S.S. Domitiana, 18
Cellole (CE)
Tel 0823 932048
www.villamatilde.it

Tenuta Cavalier Pepe

La Tenuta Cavalier Pepe è in Irpinia nel cuore delle tre Docg: Taurasi, Fiano di Avellino, Greco di Tufo. Sorge sui dolci pendii delle colline di Sant’Angelo all’Esca, in provincia di Avellino, nelle vicinanze di Taurasi, il borgo da cui prende il nome il vino più rappresentativo del Sud Italia. È immersa tra i vigneti rigogliosi e gli oliveti secolari, di proprietà aziendale, che offrono uno spettacolo unico. Aperta dal lunedì alla domenica, la Tenuta è una meta apprezzatissima per chi desidera trascorrere un soggiorno indimenticabile in Irpinia, in piena serenità e relax. Tutto è curato nei minimi dettagli per offrire agli ospiti un’esperienza unica: passeggiate in vigna, visite in cantina, degustazioni di vini, ristorazione a base di prodotti tipici irpini e pernottamento all’Antica Fattoria, la residenza turistica immersa nel verde, situata a pochi passi dalla cantina. Il team dedicato all’accoglienza offre agli ospiti la possibilità di esplorare i sapori di un terroir unico, di comprendere le varie fasi della vita di un vigneto, di conoscere le caratteristiche organolettiche e di degustare il Taurasi Opera Mia, e gli altri vini dell’azienda. In Tenuta c’è spazio anche per i più piccini, con laboratorio ludico e sensoriale dedicato alle degustazioni di marmellate alla cieca.

Tenuta Cavalier Pepe
Via Santa Vera
Sant’Angelo all’Esca (AV)
Tel. 082 773766
www.tenutacavalierpepe.it

Marisa Cuomo

I vini estremi sono vini eroici, figli della fatica, del sudore, della laboriosità dell’uomo; sono prodotti in zone spesso sconosciute, geograficamente impervie, talvolta impossibili e coltivati in minuscoli fazzoletti di terra strappati alla montagna, alle rocce, al mare. Vitigni che, grazie alla tenacia
e alla passione di alcuni piccoli grandi vignaioli, sono recuperati dall’oblio
e che ancor oggi sono in grado di regalare ai cultori di Bacco dei vini straordinari, carichi di storia e di suggestioni, rari e preziosi che possono inserirsi a pieno titolo in quelle nicchie di mercato apprezzate soprattutto da quanti amano vini veri e autentici. Enoturismo in Costa d’Amalfi: il sapore unico di un vino e la magia di un territorio estremo. Visite guidate per svelare i segreti delle Cantine Marisa Cuomo. Ripidi pendii che si rincorrono nel sole e rocce che si tuffano nell’acqua cristallina della Costiera Amalfitana.
Tra baie e insenature d’incanto, le vigne delle Cantine Marisa Cuomo dominano il fiordo di Furore affacciato sul golfo di Salerno. Prenotando uno dei tour & tasting guidati, è possibile visitare le cantine e i vigneti di proprietà dell’azienda, provare il sapore unico dei vini estremi e assaggiare
le specialità gastronomiche di Furore: lunedì-sabato 9-16.

Marisa Cuomo
Via G.B. Lama, 16/18
Furore (SA)
Tel. 089 830348
www.marisacuomo.com

Galeotta fu la Falanghina

Come scriveva tempo fa Luciano Pignataro nella sua guida ai vini del Sannio: “Benevento  è la dispensa del vino campano: questa magnifica provincia, ricca di verde e facile da percorrere in lungo e in largo, produce da sola oltre la metà del prodotto Doc e Igt”.  

Una dispensa sì - condivido - , ma certamente anche uno scrigno prezioso di prelibatezze enoiche e gastronomiche che ho avuto modo di conoscere e gustare direttamente in un mio recente viaggio nel Sannio.

Galeotta fu la Falanghina, che non annoverando alcuna corona nell’edizione 2017 della guida Vinibuoni d’Italia, ha invogliato una produttrice, Mariateresa De Gennaro titolare con il marito Piero dell’azienda Rossovermiglio, ad invitarmi in loco per approfondire meglio il mondo in cui il vitigno nasce. Un invito condiviso dal Consorzio di tutela dei vini del Sannio che mi ha onorato di una guida speciale, Carlo Pasquale, che non solo conosce ogni zolla del territorio, ma ha saputo svelarmelo con passione e dovizia.

Il paesaggio del Sannio Beneventano ha qualche cosa di magico. Uno sguardo alla Dormiente, ovvero il massiccio calcareo del Taburno quasi isolato nella sua imponenza dall’Appennino campano, dà un senso di antica autorevolezza, ma anche un’aura di protezione estesa ad una regione dalla lindezza svizzera che poco ha a condividere con gli stereotipi con cui spesso si dipinge la Campania.

Una montagna solenne che suscita rispetto ed evoca le glorie storiche del popolo Sannita nelle epiche lotte ingaggiate da Roma per domare sotto il suo gioco una popolazione irriducibile e orgogliosa della propria libertà.

Oggi il Sannio vive la sua viticultura nel segno di una consolidata tradizione contadina e con una attiva presenza di imprenditori di settore che esaltano la vocazione del territorio. La visione del futuro poggia sul vissuto quotidiano dove storia e cultura si mescolano in un paesaggio naturale e rilassante.

La storia è parte di questa cultura ed è consolidata dai ritrovamenti effettuati che permettono di affermare che la coltivazione della vite nella provincia di Benevento ha origini antiche risalenti al II secolo a.C.
 Infatti nel paese di Dugenta è stato ritrovato un imponente deposito, con relativo forno di produzione, di anfore utilizzate per la conservazione ed il commercio del vino. Gli studiosi non hanno dubbi nell’affermare che questa fabbrica di anfore aveva stretta attinenza con la produzione e il commercio del vino, che serviva a soddisfare non solo la richiesta locale, ma anche quella di altre popolazioni.


Le emozioni della storia hanno accompagnato in ogni sito il mio viaggio, arricchite ogni volta da testimonianze tuttora vive, come gli antichi torchi risalenti al ‘500, le tradizionali vetuste masserie in pietra ristrutturate e restaurate, capaci di unire antichissime glorie all’attualità. Un’attualità di produttori intraprendenti sempre di più attenti al biologico e protagonisti di progetti di ricerca e di sperimentazione. Proprio quello che oggi deve rappresentare il vino italiano nel contesto del mercato globale: qualità del prodotto, ma soprattutto la correlazione del vino con i valori “immateriali” che questo sa raccontare grazie alla sua unicità, identità e rarità.

Qui, nel Sannio, i vigneti si colorano di storia e ogni versante diventa testimone della biodiversità che intercorre da una zona all’altra. Le vigne si fanno racconto di cultura, come depone quella vigna centenaria ubicata in contrada “Pantanella”, dove la Cantina del Taburno raccoglie le uve per il Bue Apis, vino prodotto esclusivamente con bacche di Aglianico amaro, l’antico clone originario.

Altrove i filari ci invogliano a ricordare uve antiche come l’Agostinella, la Barbetta, il Sommarello, lo Sciascinoso, il Grieco, la Malvasia, l’Olivella, il Carminiello, la Palombina.. le cui specie - non tutte - ritroviamo nel vigneto didattico dell’Antica Masseria Venditti di Castelvenere, risalente al 1595. Qui, la sosta conviviale della sera, ha portato in tavola, nei piatti di tradizione cucinati dalla signora Enza Verrillo, moglie di Nicola, il gusto e l’evocazione di un rituale ecumenico benedetto dalla sacralità del cibo.

In questa opera disegnata dall’uomo in collaborazione con la natura, la bianca Falanghina, unitamente alla vigorosa e possente intonazione dell’Aglianico, è vino soprano che gorgheggia autoctono.

Falanghina perchè?

L’origine del vitigno, come per molte varietà del sud Italia, viene fatta risalire alla colonizzazione greca. La Falanghina è diffusa un po’ ovunque nelle regione Campania, tuttavia le zone più vocate si trovano nel Sannio e nell’area vulcanica dei Campi Flegrei. Diversi i cloni, differenti per forma e per dimensione, ma molto simili per caratteristiche organolettiche.

Una prima interpretazione individua la Falanghina come figlia del Falerno Bianco, antico vino campano già conosciuto al tempo degli antichi Romani. Il suo nome deriverebbe pertanto dalla radice Falerno o Falernina.

Altra ipotesi, invece, fa derivare il nome dalla parola falanga, antico sinonimo dei pali utilizzati per sostenere le viti.

Negli ultimi decenni, la Falanghina ha abbandonato il ruolo secondario che le veniva attribuito, per affermarsi come una delle varietà a bacca bianca più apprezzate della Campania. La coltivazione con basse rese, le vinificazioni sempre più accurate, ne hanno fatto un vino di buona personalità.

La Falangina del Sannio Doc viene declinata nelle sottozone di Solopaca, Guardiolo, Taburno e Sant’Agata dei Goti. Il clima fresco del territorio, con escursioni termiche, piuttosto decise, l’origine vulcanica dei suoli ricchi di minerali donano al vino un profilo elegante, con piacevole freschezza e sapidità finale.

Ed è così che si sono presentati i calici degustati all’Enoteca comunale di Castevenere, sotto la guida di Carlo Pasquale e in collaborazione con il mio coordintore Andrea de Palma. Vini, che negli stili diversi dei produttori e con le più o meno marcate influenze pedoclimatiche delle aree di provenienza, hanno accomunato un profilo sensoriale dove il profumo era dominato da note fruttate di mela e frutti esotici; richiami floreali di ginestra e di biancospino; vini piacevoli e freschi di acidità, sostenuti da uno scheletro portante sempre dritto.

Ma la sorpresa è arrivata dalla versione 2008 “Facetus” dell’azienda Fontanavecchia di Orazio e Libero Rillo, che si è espresso al naso con un complesso bouquet olfattivo, con richiami di albicocca essiccata e frutta candita; fine la struttura muscolare e insistente la freschezza corroborata da lunga persistenza. Qui la Falanghina ha dimostrato di saper integrare a meraviglia le componenti fruttate e varietali con quelle terziarie.

E’ dunque verità il claim elaborato dal Consorzio “Nel Sannio coltiviamo emozioni”. Ne ho avuto riprova dai commenti favorevoli della mia coordinatrice Piera Genta, che ha partecipato a metà marzo al wine-tour promosso appunto da Consorzio, che ha dato l’opportunità ad importanti giornalisti del settore di scoprire il ricco territorio viticolo sannita e degustarne la variegata produzione enologica, con un’attenzione particolare rivolta alla gastronomia, alle bellezze paesaggistiche ed architettoniche e alle ricchezze artigianali. Un modo per fare sistema, con il vino volano di promozione turistica.

Ora bisogna insistere nella comunicazione per portare questo tassello del ricco mosaico enologico italiano agli onori che merita.

Ben vengano, in questo senso, personaggi appassionati e competenti come Mariateresa De Gennaro, che richiedendo un confronto con la guida Vinibuoni d’Italia, di fatto ha avvertito la necessità di far comprendere più fondo il territorio e con esso le potenzialità della Falanghina, della cui varietà il suo vino rappresenta interpretazione autentica.

Poichè il vitigno Falanghina è utilizzato in molte altre Doc della Campania, sia in purezza, sia in assemblaggio con altre uve a bacca bianca autoctone - Falerno del Massico Bianco Doc, Campi Flegrei Doc, Costa d’Amalfi Doc, Penisola Sorrentina Doc, Capri Doc, Galluccio Doc e Vesuvio Doc – ecco che il vino che ne deriva può diventare il volano e il file rouge di un tour enogastronomico decisamente affascinante in giro per la Campania.

A Benevento non perdetevi la cucina casalinga e storica di Nunzia. La genuinità dei piatti che si ripetono da anni, la semplicità della sala, il piacere dimostrato della proprietaria di sedersi a tavola con te per scambiare una piacevole chiacchierata, sono solo alcuni degli elementi che fanno di Nunzia un luogo unico. Gustatevi la tradizione con il suo Cardone (brodo di pollo con cardi e polpettine), con gli insuperabili Scarparielli (spaghetti alla chitarra con pomodoro), con la salciccia e provola ai ferri e l’ottimo babà accompagnato – siamo a Benevento - da un bicchiere di Strega.

Per trascorrere una notte d’incanto, fatevi indicare la Masseria Roseto ; un luogo di charme e di assoluta tranquillità, dove gli ambienti sono stati restaurati preservando e valorizzando l’antica struttura arricchita con gusto e con tutti i comfort moderni.

Se la Falanghina è il vino guida della Campania, godetevi un giorno di pieno relax al Savoy Beach Hotel nel cuore del parco nazionale del Cilento. Il romantico ristorante “Tre olivi” vi rimette in sintonia con la tradizionale cucina locale, mentre poco distante l’Azienda San Salvatore 1988 concluderà la vostra esperienza con un rinnovato calice di Falanghina a cui ha dedicato le sue affezioni Peppino Pagano. Un tassello di eccellenza che sta trasformando questo lembo di piana del Sele in un vero e proprio paradiso dell’ospitalità e dell’enogastronomia.

Altra tappa all’insegna della Falanghina fatela in Irpinia, dove sul crinale di una collina con panorama mozzafiato troverete, a Torre le Nocelle, l’azienda “I Capitani” con il loro agriturismo immerso tra vigneti e olivi simili a giardini. Qui i sapori di una cucina di tradizione abbinata ai vini di proprità vi faranno apprezzare ulna terra ricca di storia e cultura.

Ancora nell’Irpinia, a Sant’Angelo all’Esca, gli enoappassionati avranno l’opportunità di conoscere un terroir affascinante grazie ai winetour che l’azienda Tenuta Cavalier Pepe prevede per gli ospiti: la visita ai vigneti, alla cantina con la spiegazione dei processi di vinificazione e la visita alla alla bottaia con la dehgustazione dei vini tipici del territorio.

Mario Busso
Curatore Nazionale Vinibuoni d’Italia