Lombo di cervo al distillato di spezie

distillato di spezie, 3 cucchiaini di maizena, 1 cucchiaino di lecitina di soia, sale e pepe nero.
Per il distillato: 40 g di bacche di ginepro, 10 g di chiodi di garofano, 1 piccola stecca di cannella. In sostituzione del distillato, si può usare qualche goccia di olio essenziale di ginepro diluita in acqua. Per comporre il piatto: 4 mazzi di radicchio la Rosa di Gorizia.

Ungere con olio extravergine d’oliva il lombo di capriolo e rosolarlo uniformemente in una padella di rame, poi disporlo in un vassoio, salarlo e peparlo; ungerlo con l’olio extravergine d’oliva e bagnarlo con il distillato di spezie o l’olio essenziale di ginepro allungato con acqua. Coprire il lombo con carta d’alluminio e far riposare per 15 minuti in un forno leggermente intiepidito. Questo procedimento permetterà alla carne di prendere gli aromi. Togliere il lombo dal vassoio e raccogliere su una piccola pentola i liquidi usciti dalla carne, addensarli con la lecitina e la maizena e quindi frullare. Riscaldare per alcuni minuti il lombo in forno caldo. Per la preparazione del distillato, macinare le spezie e distillarle con un distillatore a corrente di vapore. Scottare la Rosa di Gorizia in acqua, sale, aceto e qualche bacca di ginepro. Tagliare il lombo in quattro medaglioni e servirlo con la salsa, un mazzetto di radicchio la Rosa di Gorizia condito con un filo di olio extravergine d’oliva.

LA SELVAGGINA

Quasi il 40% del territorio del Friuli è ricoperto da boschi. Forse grazie all’antica cultura celtica, la popolazione rurale da sempre riserva una parte delle campagne coltivate ai boschi che sono la dimora di numerose specie di animali selvatici. Oggi la maggior parte della selvaggina che viene servita nei ristoranti proviene da allevamenti, anche di cervi, allo stato semibrado. La parte minore viene fornita dalla caccia attuata con rigidi controlli in aree protette, come la grande Foresta di Tarvisio.

vino consigliato: Friuli Colli Orientali Doc Pignolo
Netta sensazione olfattiva di frutti del sottobosco, spezie e liquirizia. In bocca, trama riccamente fruttata, calore, su tannini dolci e vellutati.

 

Ristorante la primula

San Quirino (PN) - Via San Rocco, 47 - Tel. 0434 91005 - www.ristorantelaprimula.it

Andrea è perfezionista, pieno di idee e dotato di forte sensibilità: I suoi piatti sono cesellati e di raro equilibrio, precisi perché meditati. Sa, come pochi, dare attualità alla tradizione.

Barbera, il territorio in un bicchiere

Nessun altro vino rosso italiano è cresciuto nella stima generale dei consumatori quanto la Barbera, perché versatile e declinabile in stili ed esigenze di consumo diverse, ma soprattutto perché ha in sé le potenzialità di riuscire a soddisfare la domanda mondiale di qualità e di quantità. Protagonista della viticoltura piemontese, il Barbera è di gran lunga il vitigno più diffuso in tutte le aree vitivinicole della Regione. A livello nazionale contende al Sangiovese il primato produttivo, infatti è presente anche in modo significativo nell’Oltrepò Pavese e nel Piacentino, dove assume altre denominazioni nel vino a cui dà origine; infine il vitigno è anche coltivato nel sud della Penisola e in Sardegna. Le sue terre di elezione sono tuttavia l’Astigiano e il Monferrato.

500 anni di storia
La prima citazione della Barbera appare in un documento catastale del 1512 del comune di Chieri, nei pressi di Torino. Circa 100 anni dopo, nel 1609, in una lettera rinvenuta nell’Archivio Comunale di Nizza Monferrato, risulta che vennero inviati “nel Contado di Nizza de la Paglia appositi incaricati per assaggiare il vino di questi vigneti, e in particolare lo vino Barbera per servizio di S.A. Serenissima il Duca di Mantova e di pagargli al giusto prezzo”.
Il silenzio di secoli si interrompe quando nel 1873, nei trattati di ampelografia di Leardi e Demaria a proposito della Barbera, si legge “… È vitigno conosciutissimo ed una delle basi principali dei vini dell’Astigiano e del basso Monferrato, dove è indigeno e da lunghissimo tempo coltivato…”.
Quando nel XIX secolo, con la nascita della piccola proprietà contadina, la viticoltura prese grande impulso in Piemonte, il vitigno Barbera venne scelto perché si trattava di un’uva che produceva in modo regolare con una buona resa in mosto; forniva vini piuttosto alcolici e colorati, in più l’elevata acidità fissa facilitava la conservazione del vino. Nizza Monferrato e il suo circondario furono l’area dove il vigneto di Barbera venne coltivato in purezza varietale, mentre nelle altre aree del Monferrato e del Tortonese era più frequente il vigneto “misto” e nelle Langhe e nel Roero, pur essendo ben presente, era superato per superficie dal Nebbiolo e dal Dolcetto.

… la svolta
I motivi per cui i produttori dell’Astigiano continuano a preferire questo vitigno rispetto ad altri sono un po’ diversi da quelli di un tempo. Il vino non è più un alimento a basso prezzo, ma un piacere della vita, e la Barbera, quando coltivata nelle zone più vocate, è in grado con i suoi vini di dare grandi soddisfazioni ai consumatori. I segnali del risveglio partirono negli anni Sessanta per opera di Arturo Bersano di Nizza, il primo a saper infondere nella Barbera le suggestioni e il plusvalore del territorio, della sua storia, della cultura e della civiltà contadina.
In seguito cantori appassionati e poetici come Gianni Brera, Mario Soldati, Luigi Veronelli, seppero celebrare la disperata resistenza della Barbera vino caparbiamente indomito e incrollabile come la gente delle sue colline. In quegli anni - racconta Gianluigi Bera - di clamorose sofisticazioni, di spregevoli frodi, di continue contraffazioni Guido Ceronetti lamentò in un suo scritto la scomparsa del vino genuino e Arturo Bersano gli rispose con un passo rimasto celebre “... mandiamogli un vino nascosto, vino da resurrezione, vino che daresti soltanto a tua madre malata...”.
Quel vino, manco a dirlo, era la Barbera, vino dall’anima misteriosa e potente, vino dalla spiritualità fatta di terra e di lune, di segreti e di stagioni.
Alla fine degli anni ‘80 l’anima della Barbera esplose grazie a un grandissimo personaggio: Giacomo Bologna.
Il resto è storia recente. L’innalzamento della qualità fu perseguito attraverso il miglioramento delle tecniche di vigneto, la selezione clonale, la riduzione delle rese per favorire una più alta qualità, la scelta oculata della data di vendemmia. In cantina, le nuove tecnologie favorirono il controllo della fermentazione malolattica, il cui meccanismo non era conosciuto fino a qualche decina di anni fa, per cui il vino fu reso più morbido al palato; infine l’affinamento in botti di legno di rovere e in barrique innalzò il vino ai piani nobili.

… un autoctono riservato
Il Barbera non è un vitigno “cosmopolita”, infatti fornisce le sue migliori performance enologiche, con vini di corpo, struttura e complessità, nella fascia collinare del Piemonte meridionale, compresa tra la pianura del Po a Nord e gli Appennini a Sud. Il vitigno predilige esposizioni calde e soleggiate e terreni calcarei piuttosto ricchi di limo e argilla e carbonati.
L’area di coltivazione coincide con il vasto comprensorio collinare noto ai geologi come bacino terziario piemontese, originato dal sollevamento del letto del mare, e la concentrazione maggiore la troviamo nel Sud Astigiano, tra Tanaro e Belbo (Nizza, Vinchio, Agliano, Costigliole…) con prevalenza della Docg Barbera d’Asti, e, con minore intensità, ma sempre come vitigno principale, a Nord del Tanaro (Nord Astigiano e Monferrato Casalese) con le denominazioni Barbera d’Asti e Barbera del Monferrato.
Il vitigno lo troviamo molto diffuso nelle Langhe e nel Roero con la Doc Barbera d’Alba, con il nome Barbera preceduto dal territorio nelle Doc Colli Tortonesi, Colline Pinerolesi, Colline Torinesi, Colline Novaresi, Canavese, Piemonte e, senza citazione del nome del vitigno, nella composizione delle seguenti Doc: Rubino di Cantavenna, Gabiano, Alba, Coste della Sesia Rosso, Langhe Rosso e Monferrato Rosso. Il Barbera è dunque uno dei vitigni più rappresentativi del Piemonte e interessa circa il 35% dei 53000 ettari di superficie vitata della regione.

… come nasce unA grande Barbera
Nessun tipo di rovere o di contenitore può sostituirsi alla qualità dell’uva e tanto meno al vigneto, perché finalmente i vignaioli hanno imparato che proprio dal vigneto trae origine la qualità che caratterizza il millesimo di quel vino. Oggi la carta d’identità di un vino di eccellenza è molto complessa, ma oltre alle caratteristiche organolettiche intrinseche al vino, si chiede che alle spalle abbia un territorio ben definito, una storia importante e la testimonianza che abbia fatto parte della cultura della civiltà contadina. La Barbera possiede tutte queste caratteristiche e le manifesta soprattutto in quel territorio che nell’Astigiano e nel Monferrato, oggi, è per buona parte patrimonio dell’Unesco. Nel sogno di un grande wine maker - Donato Lanati - paradossalmente il Piemonte attraverso questo grande vino avrebbe le carte in regola per competere con la più importante regione vinicola europea: la Borgogna, infatti, rispetto al Barolo o al Brunello, la Barbera ha il grande vantaggio di avere una potenzialità produttiva di 60 milioni di bottiglie…

… ma la Barbera è soprattutto Asti
Oggi la Barbera rappresenta senza dubbio, e forse più di ogni altro vino, un prodotto in continua evoluzione, che cresce seguendo le nuove conoscenze in campo viticolo ed enologico e che, per qualità e numeri, può essere proposto a un pubblico contemporaneamente curioso, esigente e vasto. Ottenuta la Doc nel 1970, a pieno titolo è considerata tra i più importanti vini rossi italiani e conquista crescenti consensi a livello internazionale, perché trova interpretazione in una ricca gamma di vini, contraddistinti da stili ben definiti: quelli che non subiscono alcun passaggio in botti di legno, per non perdere le caratteristiche primarie; quelli che maturano in botti di grandi dimensioni, per migliorare in complessità nel rispetto della tradizione; quelli che si completano con un passaggio in piccole botti di rovere, acquisendo stoffa ed eleganza, rivolte a un gusto più internazionale.

… dal 2008 una Docg di forte personalità con le sue sottozone
Le vigne devono essere piantate in collina, con esclusione del versante nord. Il vino deve essere ottenuto da uve Barbera dal 90% al 100%, con possibilità di assemblaggio con altri vitigni autorizzati in Piemonte, non aromatici, fino a un massimo del 10%. Ci sono sfumature differenti che caratterizzano la Barbera d’Asti in base ai territori e ai vigneti di origine e alle tecniche di vinificazione. Alcuni caratteri comuni sono il colore rosso rubino, particolarmente intenso nelle tipologie Superiore, tendente al granato con l’invecchiamento. Il profumo è vinoso ed è marcato il frutto: la ciliegia, la prugna, le bacche scure, che evolvono in sentori di confettura e frutta sottospirito, quindi note più o meno intense balsamiche, speziate e talvolta floreali; con la maturazione in legno sviluppa sentori di cannella, cacao e liquirizia. Al gusto risulta piena, l’impatto in bocca è di grande immediatezza, calore e armonia. La vena acidula tipica del vitigno, che nelle vinificazioni moderne è equilibrata e non eccessiva, le conferisce freschezza e grande facilità di abbinamento con il cibo. L’affinamento regala complessità e ricchezza di tannini dolci e vellutati e una lunga persistenza gusto-olfattiva.
La Barbera d’Asti Superiore è ottenuta da attente cure e selezioni delle uve in vigneto ed è affinata in cantina per un periodo minimo di dodici mesi, durante il quale deve trascorrere almeno sei mesi in botti di legno, completato da un periodo di maturazione in bottiglia. Si tratta di vini molto longevi, che si apprezzano anche dopo dieci anni di permanenza in bottiglia.
La versione Superiore può avvalersi dell’indicazione delle sottozone:
“Tinella” quando interessa l’intero territorio dei seguenti comuni: Costigliole d’Asti, Calosso, Castagnole Lanze, Coazzolo, e Isola d’Asti limitatamente al territorio situato a destra della strada Asti-Montegrosso;
“Colli Astiani o Astiano” è possibile assegnarlo ai vini di Azzano, Mongardino, Montaldo Scarampi, Montegrosso d’Asti, Rocca d’Arazzo, Vigliano; di Asti, limitatamente alla circoscrizione Montemarzo e San Marzanotto Valle Tanaro, e di Isola d’Asti solo per il territorio situato a sinistra della strada Asti-Montegrosso.

… il Nizza
Il Nizza Docg, ottenuto al 100% con sole uve Barbera, gode della specifica denominazione territoriale dal dicembre 2014; prevede anche la dicitura riserva e ricade sull’intero territorio dei seguenti comuni: Agliano, Belveglio, Calamandrana, Castel Boglione, Castelnuovo Belbo, Castelnuovo Calcea, Castel Rocchero, Cortiglione, Incisa Scappacino, Mombaruzzo, Mombercelli, Nizza Monferrato, Vaglio serra, Vinchio, Bruno, Rocchetta Palafea, Mosca, San Marzano Oliveto. In base al disciplinare può esserci anche la menzione della vigna seguita dal relativo toponimo, con rese medie di 6,3 tonnellate ad ettaro contro le 7 della menzione riserva.

… ma anche Barbera del Monferrato Doc e Docg
È la Doc più estesa: comprende le aree collinari viticole della provincia di Asti e tre comprensori viticoli (su cinque) di quella di Alessandria, che fanno capo alle tre cittadine di Acqui, Casale Monferrato e Ovada. Il disciplinare di produzione prevede oltre al vitigno Barbera il possibile impiego di altri vitigni, Freisa, Dolcetto o Grignolino, fino a un massimo del 15%. Ne esiste una versione tradizionale vivace, cioè leggermente effervescente, da consumare giovane.
C’è poi la versione più austera della Barbera del Monferrato, la Superiore che, come la Barbera d’Asti, è un vino Docg dal 2008. Il disciplinare prevede un periodo di affinamento in botti di rovere, piccole o grandi. Nella maggioranza dei casi può essere frutto di Barbera in purezza o di assemblaggio con un massimo del 15% di Freisa (utilizzata nel Monferrato Casalese), Dolcetto (impiegato nell’Alto Monferrato) o Grignolino.

… poliedrica negli abbinamenti
La Barbera può essere vino da tutto pasto, completa e soddisfacente in ogni occasione. Se affinata e strutturata sposa particolarmente bene i secondi piatti quali gli arrosti, il coniglio, il fritto misto e i formaggi a pasta dura dal gusto potente, ma, più giovane, esalta oltremodo anche i tradizionali minestroni piemontesi (da quello di ceci e costine di maiale a quello di fave) e le polente tipiche, che la ‘cucina povera’ astigiana ha prodotto e tramandato quale patrimonio di cultura gastronomica, dalla polenta con il cavolo a quella con la bagna d’infern, da quella con merluzzo al verde a quella concia. Una giovane Barbera è inseparabile dal piatto, che per antonomasia, racconta il Piemonte, ovvero la bagna caôda. Originaria proprio del Monferrato è da sempre il piatto della convivialità. Nella bagna s’intingono i più vari ortaggi, che la terra astigiana dava e dà ancora con generosità, alcuni dei quali hanno ottenuto importanti riconoscimenti per la loro tipicità ed eccellenza qualitativa, come i peperoni quadrati di Motta, i cardi gobbi di Nizza, la cipolla bionda di Asti...
La Barbera accompagnava e accompagna tutt’oggi piatti tipici come le trippe, gli zampini di maiale (batsuà), i ceci con la testina o la coda di bue. Le versioni di Barbera meno impegnative si abbinano da sempre al carpione delle vallate del Tanaro, un modo del tutto particolare di rendere meglio commestibili e conservare alcuni pesci d’acqua dolce, come carpe, tinche e barbi, dalla carne saporita ma molto liscosa.
C’è poi la cucina borghese che con questo vino si esalta, dall’insalata di carne cruda di fassone piemontese, alle acciughe al verde, al vitello tonnato; dai peperoni scottati alla fiamma, ai fiori di zucchino ripieni; dal cardo gobbo di Nizza con fonduta, ai nervetti in insalata... Tra i primi piatti gli agnolotti quadrati e quelli del plin, i tajarin e i risotti del Casalese. Poi tra i secondi, eccellono il fritto misto (di cervello, animella, fegato, cotoletta, mela, amaretto, semolino, salsiccia, fungo), il bollito (con vari tagli di carne bovina piemontese compresa la testina, più la gallina), la tasca ripiena, la frittata rognosa (con salame ed erbe), quella di rane e quella di lavertin (cime di luppolo) e il collo di tacchino ripieno.

… poi la versione passita con i dolci della tradizione
I dolci del Monferrato astigiano sono in prevalenza secchi. Un abbinamento curioso è accompagnarli con le versioni di Barbera passita che alcune aziende producono. Da provare con gli amaretti di Mombaruzzo, i baci di dama, i crumiri di Casale, i finocchini di Refrancore, le polentine del Palio, la torta monferrina, la tirà, i canestrelli di Cinaglio.
A questi si possono aggiungere il famoso bunet con l’amaretto, la torta di castagne e su tutti le pere cotte con la Barbera.

SCARICA QUI LE RICETTE DA ABBINARE AL BARBERA

ricettario Barbera

 

 

Gnocchetti di polenta e otragano

500 g di farina di mais per polenta, metà bianca e metà gialla, 4 cefali otragani o cefali dorati da 300 g l’uno, 4 spicchi d’aglio, olio evo di Russiz Superiore in Collio, 1 cl di vino bianco, sale e pepe.

Per gli gnocchetti di polenta: preparare le due polente - ognuna per colore di farina - in modo tradizionale facendo attenzione che non risulti troppo dura. A cottura terminata, metterla in una sacca da pasticciere, che consigliamo d’avvolgere con un panno per non scottarsi, dato che la polenta deve essere ancora caldissima. Quindi, in un piano di lavoro leggermente unto con un filo d’olio, fare scorrere la sacca creando strisce gonfie e lunghe come si fa per gli gnocchi tradizionali; attendere che si raffreddino e tagliare la polenta a mo’ di gnocchetti. Nel frattempo pulire i cefali e sfilettarli togliendo loro la pelle.
Per la salsa: rosolare in padella gli scarti del pesce con aglio tritato e un filo d’olio; sfumare col vino bianco; aggiungere un po’ d’acqua e terminare la cottura finché la salsa si restringa in modo adeguato. Filtrarla con un colino e aggiustarla di sale e pepe.
Tagliare a listarelle i filetti e rosolarli in una padella antiaderente ben calda. Bagnare la salsa con un filo d’olio e aggiungerla ai filettini di pesce. Quindi versarvi gli gnocchi che verranno cotti assieme al pesce per 5 minuti a fuoco lento, così che possano assorbire il sugo fin quasi ad asciugarlo. Servire in un piatto fondo ben caldo e guarnire con un filettino di otragano.

Otragano

Otragono o Lotragono è una varietà molto pregiata di cefalo dorato tipico dalla Laguna di Grado e del Golfo di Trieste. Si tratta di una vera chicca poco conosciuta che è commercializzata dalla Cooperativa dei Pescatori di Grado, che, nata nel 1930, rappresenta tuttora una delle realtà più importanti della regione.

 

VINO CONSIGLIATO: Friuli ANNIA  Doc Pinot Bianco

Vino friulano raro piacevolmente fruttato, con sapore asciutto, morbido, armonico, di grande persistenza.

All’Androna

Via Calle Porta Piccola, 6 - Grado (GO) -
tel. 0431 80950 -  www.androna.it

La cucina di Allan e Attias è ricca di una piacevole creatività, ancorata alla lunga tradizione della cucina marinara gradese, ma capace al tempo stesso di farsi moderna.
Sempre pesce di giornata.

Arrosto di maialino da latte con kren e mele Seuka

Una lonza di maialino da latte con cotenna; 50 g di rosmarino, 1 spicchio di aglio, sale, pepe, 2 mele, 1 radice di kren, olio evo del Carso.

Tritare il rosmarino e lo spicchio d’aglio; in una ciotola versare il sale e il pepe e aggiungervi il trito di rosmarino. Distendere la lonza e pareggiarla, in modo tale che tutte le parti siano della stessa grossezza. Cospargerla con il trito e arrotolarla, così da formare un arrosto. Infornare con un filo d’olio a 120 °C per 4 ore circa. Nel frattempo sbucciare le mele e cucinarle in una pentola antiaderente con qualche goccia di limone, onde evitarne l’ossidazione. Tagliare il maialino a fette non troppo sottili; sul fondo di un piatto ben caldo versare il purè di mele, adagiare due fette di maialino e nappare con la salsa che si sarà formata in cottura. Grattugiare un po’ di kren e servire subito.

Il kren e la mela Seuka

Il kren, ovvero il rafano, è una radice balsamico-piccante usata frequentemente nella cucina friulana. La mela Seuka, frutto tipico delle Valli del Natisone purtroppo a rischio estinzione, è tuttora utilizzata nella tradizione culinaria locale ed è davvero inconfondibile. Il suo profumo e il suo aroma intenso la rendono unica al punto che le generazioni passate la usavano per profumare la biancheria nei cassettoni.

Vino consigliato: Friuli Colli Orientali Doc Refosco dal Peduncolo Rosso
Vino che ben accondiscende questa ricetta con i suoi profumi ricchi di piccoli frutti rossi, speziato e balsamico.

Al Ponte

Viale Trieste, 122 - Gradisca d’Isonzo (GO) - tel. 0481 9921 - www.albergoalponte.it

Nello stile di Luca l’impronta delle innumerevoli contaminazioni del Friuli. Declina con uguale creatività sia la cucina innovativa di pesce, sia quella della tradizione friulana e di territori.

 

Vellutata di cavolfiore con cicciole di maiale croccanti e Rosa di Gorizia

400 g di cavolfiore, 400 g di patate, 500 g di latte, 500 g di acqua, 10 g di sale, 300 g di guanciale di maiale, 6 cespi di radicchio di Gorizia, olio evo, aceto balsamico.

In una pentola, unire il latte, l’acqua, il cavolo, le patate e il sale. Portare a ebollizione e cuocere per circa 20 minuti. A cottura ultimata, passare tutto al frullatore.
A parte tagliare a piccoli dadini il guanciale, soffriggerlo lentamente. Appena i dadini avranno rilasciato tutto il grasso e saranno dorati e croccanti, metterli da parte tenendoli in caldo. Sfumare il fondo del grasso con aceto balsamico. Mondare e lavare i cespi di radicchio e condirli con il grasso sfumato di balsamico.
In una fondina disporre la vellutata di cavolfiore, adagiarvi al centro le foglie di radicchio e le cicciole di maiale. Finire con un filo di olio extravergine di oliva.

Rosa di Gorizia

Non si tratta di un fiore, ma di una varietà pregiata di radicchio rosso. La sua coltivazione è tipica del nord-est dell’Italia e avviene ormai da ben duecento anni con tecniche su piccola scala che si tramandano di generazione in generazione. I produttori locali custodiscono ogni segreto necessario alla coltivazione di un vero e proprio gioiello della biodiversità agroalimentare italiana.

Vino consigliato: Friuli Aquileia Doc Merlot
Il tajut rosso dei Friulani; sul piatto è da cogliere giovane, beverino, vinoso e scorrevole.

Al Paradiso

Paradiso di Pocenia (UD) - Via S. Ermacora, 1 - tel. 0432 777000 - www.trattoriaparadiso.it

Annamaria si ispira al maestro Gianni Cosetti dal quale ha preso la profonda cultura dei prodotti che continua a sviluppare con sensibilità, anche grazie al marito Aurelio e alla figlia Federica.

Vinibuoni d'Italia in Emilia Romagna

Si terrà giovedì 4 febbraio, ore 20 la presentazione regionale della guida Vinibuoni d’Italia, presso il

Ristorante La Lumira di Castelfranco Emilia.

Durante la serata verranno consegnate le ambite Golden Star e  e verranno degustati i vini premiati, per la regione Emilia Romagna, sia con le Golden Star che con la Corona.

Una scelta obbligata: il ristorante La Lumira e il suo chef e patron Carlo Alberto Borsarini sono da sempre impegnati nella valorizzazione del territorio e delle sue eccellenze, filosofia condivisa da Touring Editore e dalla guida Vinibuoni d’Italia.

Membro dell’associazione Modena a Tavola e dell’associazione Tour-tlen, il ristorante La Lumira rappresenta un faro della tradizione culinaria della regione e una roccaforte del tortellino, che avremo l’occasione di assaggiare, assieme ad altre proposte dello chef.

Un piccolo buffet in piedi sarà infatti organizzato dal patron Carlo Alberto, con il quale condivideremo anche suggerimenti di abbinamento con i vini della regione presenti in degustazione.

costo 10 euro, è gradita la prenotazione

Ristorante La Lumira
V. Martiri 74
Castelfranco Emilia (mo)
T. 059 926550

 

 

Tortelfrico

Per i tortelli: 400 g di patate, 100 g di farina, 2 tuorli, 1/2 cucchiaio d’olio evo, 15 g di fecola di patate, 40 g di burro, sale.
Per il ripieno: 160 g di ricotta, 80 g di Montasio fresco,
60 g di Montasio vecchio, 40 g di mascarpone.
Per la salsa: 200 g di cipolla gialla, 30 g di speck, 40 g di brodo vegetale.

Per la pasta di patate: impastare queste ultime lessate e passate con il resto degli ingredienti. Stenderla sottile e coppare dischi del diametro di 5 cm, riempiendoli con il composto di Montasio e formare mezzelune ottenendo i tortelli. Cuocerli in acqua salata, scolarli e rosolarli brevemente nel burro. Passare la ricotta, unirvi il Montasio fresco, lo stravecchio grattugiato e da ultimo il mascarpone. Regolare di gusto e fare riposare l’impasto per circa 1 ora.
Per la salsa: pelare e tagliare alla julienne le cipolle e rosolarle in poco olio, con la fetta di speck; bagnare con il brodo e portare a cottura. Togliere la fetta di speck e frullare con minipimer, regolando quindi di gusto.
Disporre sul fondo del piatto la salsa, adagiarvi al centro tre tortelfrico per persona, guarnendo con chips di speck secco.

Frico

Il frico è un piatto a base di formaggio ed è la preparazione più tipica della cucina friulana. L’origine è antichissima ed è stato descritto per la prima volta, con il nome di Caso in patellecte, dal maestro Martino da Como, cuoco del patriarca di Aquileia verso la metà del XV secolo. Il frico si divide in due principali categorie: friabile e morbido. Quello friabile è composto solo da formaggio, quello morbido vede l’aggiunta di patate.

Vino consigliato: Friuli Grave Doc Cabernet Franc
Intense sensazioni fruttate con piacevoli note speziate, bocca marcata da frutta rossa matura e sentori lievemente erbacei.

Là di Moret

Udine - Viale Tricesimo, 276 - tel. 0432 545096 - www.ladimoret.it

La famiglia Marini - Franco, Margherita ed Edoardo - ha aperto da sempre la propria cucina sugli orizzonti dell’intera regione: dal profumo del mare ai sapori della montagna.

Crema di jota con cotechino all’aceto balsamico e salsa di kren

200 g di patate, 200 g di fagioli borlotti ammollati, 200 g di crauti acidi, sale, pepe, 1 spicchio d’aglio, 4 cotechini piccoli, 2 cucchiai di farina 00, 150 g d’olio di semi, 1 radice di kren, 2 cucchiai di panna da cucina, paprika.

Preparare una minestra a base di patate, fagioli e crauti. Addensarla con farina 00 e profumarla con aglio soffritto nell’olio. Passare la minestra al mixer, riducendola a crema. Cuocere i cotechini in abbondante acqua per circa un’ora. Ridurre in polvere il kren, emulsionarlo con panna da cucina e regolare di sale.
Disporre la crema in un bicchiere a coppa, spolverizzare con paprika e condire con un filo d’olio.
Tagliare il cotechino a rondelle e disporlo nel piatto, con qualche goccia di aceto balsamico e la salsa di kren.

Jota

La jota è un piatto tipico triestino, diffuso nella cucina del Friuli Venezia Giulia, particolarmente nelle province di Trieste e Gorizia. Si tratta di una minestra che nella versione triestina è a base di crauti e insaporita con fagioli, costine o altra carne di maiale affumicata. Diversamente che a Trieste, la jota in Friuli veniva considerata una pietanza di ripiego, tanto che i vecchi usavano lamentarsi del fatto che erano costretti a mangiarla molto spesso.

 

Vino consigliato: Friuli Colli Orientali Doc Tazzelenghe

Il nome ‘taglia lingua’ annuncia un vino rustico che ammorbidisce il suo carattere con l’affinamento.

È ricco di acidità e i suoi tannini sono vivi.

Lokanda Devetak

San Michele del Carso (GO) - tel. 0481 882488 - www.devetak.com

La cucina è condotta da Gabriella che racconta la tradizione culinaria mitteleuropea fusa con quella slovena e italiana. Vengono utilizzate materie prime del Carso dell’azienda agricola della famiglia.