La Colombiera

L’azienda agricola La Colombiera si trova a Castelnuovo Magra, sopra l’antica città di Luni, dove Liguria e Toscana si incontrano. Nata dalla felice intuizione di Francesco Ferro, tra i promotori della Doc dei Colli di Luni e consapevole del potenziale vitivinicolo del luogo, dalla metà degli anni Settanta, di generazione in generazione, l’azienda produce principalmente Vermentino, preservandone l’autenticità ed esaltandone le caratteristiche peculiari. È il figlio Pieralberto che, prese le redini dell’azienda, si specializza nella produzione del Vermentino Doc Colli di Luni in purezza, avvalendosi di una rigorosa conduzione dei vigneti e di tecniche di lavorazione diversificate.
Oltre ai dieci ettari vitati disposti tra le provincie di La Spezia e Massa, La Colombiera dispone di un locale degustazione, in cui il Vermentino può essere assaporato accompagnato da prodotti tipici locali in un contesto estremamente suggestivo, con vista sul vigneto, il mare in lontananza e il paese di Castelnuovo in collina. Questo luogo, in perfetta sintonia con la natura circostante, elegge accoglienza e ospitalità quali elementi cardine dell’intero percorso enogastronomico e racchiude in sé la storia della famiglia, delle sue tradizioni e del legame con il territorio. L’azienda offre anche la possibilità di pernottamento.

La Colombiera
Via Montecchio, 92
Castelnuovo Magra (SP)
Tel. 0187 699235
www.cantinalacolombiera.it

I vigneti eroici e i tesori delle acque di Portovenere

Portovenere, perla del Golfo dei Poeti, è una delle mete turistiche più gettonate dell’intero Paese. Ogni anno questa area della Liguria, impreziosita dal Parco Nazionale delle Cinque Terre e che incastona questa splendida cittadina, mantenuta intatta nella sua struttura medioevale, mette in moto un flusso di visitatori italiani e stranieri attratti da un paesaggio incantevole e, ultimamente, anche dai vini che nascono sui terrazzamenti ricavati dai vignaioli lungo strapiombi che cadono ripidi nel mare.

La millenaria coltura della vite ha rappresentato per il territorio delle Cinque Terre un elemento capace di modificarne in profondità la fisionomia, infatti 
nel passato l’agricoltura, attività dominante nella zona, era rivolta soprattutto alla coltivazione della vite. Ad oggi, soprattutto dopo l’istituzione del Parco Nazionale, gli sforzi per recuperare la tradizione legata all’attività vitivinicola sulle terrazze delle Cinque Terre hanno dato buoni risultati nonostante i circa cento ettari coltivati oggi a vigneto non siano minimamente paragonabili ai 1.400 di un secolo fa.
 Una viticoltura eroica soprattutto ispirata alla coltivazione dei vitigni Bosco, Albarola e Vermentino, da cui nascono il Cinque Terre e Cinque Terre Sciacchetrà Doc.

A dominare il golfo, il Grandhotel Potrovenere ha ospitato la presentazione ligure della guida Vinibuoni d’Italia con l’assegnazione ai produttori dei diplomi della Golden Star e delle Corone attribuite ai vini di eccellenza che, per la loro adesione al vitigno e al territorio hanno raggiunto il massimo indice di gradimento da parte dei commissari della guida e del pubblico votante.

Mario Busso, nell’introdurre la premiazione dei vignaioli ha sottolineato come nonostante una ristretta estensione di coltivazione, i vini della Liguria stiano raggiungendo elevati livelli di qualità attestati dal fatto che i giudizi del pubblico in fase di degustazione finale hanno attributo ai vini selezionati dal coordinatore regionale Daniele Bartolozzi ben 7 corone che sono andate alle aziende:

C’è un dato molto significativo – ha sottolineato ancora Mario Busso – rappresentato dal fatto che i vignaioli della regione non hanno mai abdicato alla coltivazione dei vitigni tradizionali, neppure in tempi in cui le guide premiavano le produzioni ottenute da vitigni internazionali. Rossese e Ormeasco per i rossi; Pigato, Vermentino, Bianchetta Genovese, Bosco e Albarola – per citare i più diffusi, ma anche Granaccia e Alicante - regalano oggi 8 Doc e 3 Igt che danno continuità alla tradizione millenaria di cui abbiamo già traccia in Strabone e Plinio il Vecchio. A conferma di questa lunga affascinante storia, Paolo Varrella, responsabile della Cooperativa Mitilicoltori Spezzini, nel suo intervento ha citato i ritrovamenti di anfore vinarie risalenti alle varie epoche del periodo romano.

E proprio Paolo Varrella, muscolaio e ostricoltore spezzino, ha accompagnato la Redazione di Vinibuoni d’Italia in un bellissimo tour nelle acque del golfo che nascondono “vigne” sottomarine di “muscoli” e soprattutto di pregiatissime ostriche, che si presentano di un verde brillante, profumatissime al naso, sapide nel finale. Ad allevarle è uno sparuto gruppo di indomiti mitilicoltori che dopo anni di sperimentazioni portano oggi sulle nostre tavole un tesoro inimitabile.

Sono state degustate con lo Sciacchetrà, mentre la barca buttava l’ancora nelle acque dell’isola Palmaria, posta davanti Portovenere. Un momento magico allietato dal rassicurante suono delle campane del mezzodì che annunciavano un ingresso onirico in paradiso.

Champagne e ostriche evocano entrambi lusso e lussuria, e abbinarli è un classico: ma gli esperti sostengono che, nove volte su dieci, l’abbinamento è totalmente sbagliato. Con estrema facilità la sensazione metallica delle ostriche unita all’acidità e alla carbonica dello Champagne produrranno fastidiosi sentori metallici, e le decise sensazioni salmastre dell’ostrica non troveranno armonia con le delicate trame delle bollicine d’Oltralpe. A questo punto, ci confortavano le sicure certezze di Alessandro Scorsone, grande esperto di cucina, nonché cerimoniere di Palazzo Chigi, che suggerisce che… “le nostre ostriche danno il meglio abbinate a un passito. Ecco perché lo Sciacchetrà con la sua vena dolce e la sua mineralità salmastra - che a volte richiama nettamente proprio il gusto dell’amato mollusco - si adatta all’abbinamento decisamente meglio rispetto allo Champagne. Fresco e agrumato, riesce dove il più blasonato compagno fallisce”.

Pigato principe di Ponente

L’arco geografico della Liguria è stretto tra il mare e le montagne che cadono a ridosso del perimetro costiero. La morfologia del territorio condiziona il clima e regala alla regione una ricca varietà vegetativa e di coltivazioni. Infatti nella zona costiera, pini marittimi, agavi, palme, antichi borghi suggestivi contrastano, forti della loro solenne e indomita storia, gli insediamenti abitativi che hanno ubbidito alla selvaggia speculazione edilizia degli anni settanta; poi, man mano, salendo verso la collina questi cedono il posto a boschi di castagni e faggi a loro volta sostituiti, ad altitudini maggiori, da distese di pini, abeti e larici.

La zona collinare, quella dell’immediato entroterra, la più tipica della Liguria, è ricoperta dagli olivi e dalla vite e il paesaggio è movimentato dalle “fasce”, le tipiche terrazze coltivabili alla cui realizzazione si sono dedicati nei secoli gli agricoltori e i vignaioli della regione.

È su queste terrazze che la Liguria vanta la sua gelosa e secolare tradizione vitivinicola. Il ritrovamento di alcuni antichi documenti permette di affermare con certezza l’esistenza e la coltivazione della vite già durante l’Impero romano. La coltivazione venne incrementata decisamente durante tutto il Medio Evo e già allora erano due le aree significative per la qualità delle loro produzioni: la zona intorno a La Spezia, ovvero le Cinque Terre e la Riviera di Ponente.

Produzioni piccole e di piccoli produttori che non si sono mai fatti ammaliare dalle modaiole tentazioni di introdurre nel territorio vitigni internazionali, ma hanno preservato, più che altrove, le antiche coltivazioni di vitigni, che permettevano di creare quella cuvée locale che andava sotto l’affettuoso nome di Nostralino. In versione rossa o in versione bianca, il Nostralino nella tradizione contadina ligure rappresentava il vino frutto dell' assemblaggio di tutte le varietà di uva presenti nel vigneto. A Ranzi, frazione di Pietra Ligure, sul panoramico Colle della Madonnina, in una conca naturale immersa nel verde e nella quiete della campagna, si svolge la tradizionale “Sagra del Nostralino”. Si tratta di una delle prime sagre campestri liguri, che richiama frotte di turisti e di buongustai alla ricerca di antichi sapori. Nel Nostralino convergevano varietà di vitigni tuttora presenti, come l’Albarola, il Bosco, il Vermentino, la Bianchetta genovese, lo Scimiscià, la Lumassina, la Granaccia Ligure, la Pollera Nera, il Rossese di Dolceacqua, l’Ormeasco, il Vermentino e il Pigato.

Il suo nome deriverebbe dal termine dialettale “pigau”, che indica la macchiolina color ruggine presente sugli acini maturi. Il nome tuttavia potrebbe derivare dal latino picatum, che indicava i vini aromatizzati degli antichi Romani.

Le origini rimangono comunque incerte, sebbene oggi si sia propensi a credere che il Pigato abbia natali in Grecia; ipotesi molto probabile vista la storia di molti vitigni italiani. La sua importazione appare comunque più recente, infatti, contrariamente alla tradizione, sarebbe arrivato dalla dalla Tessaglia solo nel 1600 come sottotipo del Malvasia.

La documentazione piu antica risale al Bollettino Ampelografico del 1883 che lo indica come molto coltivato nella zona di Albenga, e in misura minore in Val d’Arroscia, in provincia di Imperia: zone che oggi sono il maggiore habitat di coltivazione del Pigato.

Fedele espressione del territorio, il Pigato non si piega solo alle variazioni climatiche, ma interpreta anche la diversa composizione dei suoli. Sulle terre bianche, ricche di calcare, il Pigato sfoggia maggior finezza e freschezza, mentre sulle terre rosse, in presenza di componenti ferrose, acquista maggior corpo e una marcata vena minerale.

Le uve Pigato permettono interpretazioni diverse.

Le versioni fresche e giovani ci portano ad apprezzare un bicchiere caratterizzato dai profumi della macchia mediterranea e note fruttate in cui spicca la pesca bianca. La bocca mette in bilancia armonia, freschezza, equilibrio e sapidità con richiami alla mandorla su finale per lo più persistente.

Interessanti alcune versioni che mettono in evidenza anche il potenziale d’invecchiamento, che nei casi più interessanti lasciano che il Pigato sviluppi interessanti sentori terziari di resina di pino marittimo e idrocarburo; più complessi e di maggior struttura, spesso anche grazie a macerazioni sulle bucce o parziale affinamento in legno.

La versatilità del Pigato ci porterà anche alla sua declinazione in bollicine ottenute con Metodo Classico, vedi il millesimato di VisAmoris e le versioni proposte da Durin, invecchiate nelle grotte di Toirano.

Infine, le versioni passite si propongono con un piacevole equilibrio tra dolcezza e acidità.

Non perdetevi il Pigato Selezione Bon in da Bon 2015 di Bio Vio, che già buono ora, darà il meglio di sé; quando i suoi profumi secondari, di pesche e mandorle, vireranno su note idrocarburiche, uniche e ammalianti. Provate la brezza del mare che traspira dalle bottiglie del Pigato Cycnus 2015 di Poggio dei Gorleri, nel cui bicchiere potrete apprezzare profumi di frutta, agrumi e fiori bianchi che ritroverete in successione in un assaggio fresco ed equilibrato, di viva sapidità.

Per la vostra permanenza e i vostri tour due i punti di riferimento:

Poggio dei Gorleri

Via San Leonardo – Frazione Gorleri

181013 Diano Marina - Sv

www.gorleriwineresort.com

Bio Vio – Agriturismo del Pigato

Via Crociata 24

17031 Albenga

www.biovio.it

Presso queste strutture, che affiancano le omonime cantine, il Pigato si fa regale avendo ottenuto dalla guida Vinibuoni d’Italia i massimi riconoscimenti.

La prima di Vinibuoni d'Italia al Vescovado di Noli

Un sole caldo e una giornata tersa hanno tenuto a battesimo - giovedì 10 marzo -  la prima edizione della presentazione di Vinibuoni d’Italia in Liguria.

Come si conviene ad una “prima”, ad ospitare l’evento un luogo di eccezione l’Hotel Ristorante Il Vescovado, che si apre con la sua storia centenaria sul golfo di Noli, offrendo uno scenario di rara bellezza sul Mar Ligure.

La presentazione della guida è stata l’occasione di premiare le aziende della Regione, i cui vini hanno raggiunto l’eccellenza, ottenendo dalle mani del coordinatore regionale Daniele Bartolozzi, gli ambiti riconoscimenti della Corona e della Golden Star. Ad introdurre, Linda Nano che con la collaborazione di Chiara Busso, è stata la vera artefice dell’iniziativa che per la prima volta vede riuniti i produttori del Levante con quelli del Ponente, superando sia metaforicamente che nella realtà il “difficile confine” di Genova.

La lunga memoria dei “campanili” in Italia – ha sostenuto Mario Busso curatore nazionale della guida - consegna alla storia un retaggio difficile da superare culturalmente, ma che nel mondo del vino rappresenta tutt’ora il vantaggio identitario che permette ai produttori di presentarsi come espressione unica di variegati biosistemi e biodiversità pedologiche e climatiche che sono il vanto unico dell’Italia. Un vantaggio che può esporsi ai rischi della troppa parcellizzazione, ma che, se ben sfruttato, attrraverso la coesione dei produttori, diventa un volano eccezionale per presentare sui mercati vini rari e dalla grande e irripetibile personalità.

E’ proprio su questo aspetto si è incentrato anche l’intervento di Matteo Ravera titolare del Vescovado che ha esposto ai moltissimi produttori liguri intervenuti, la necessità di fare squadra e il bisogno dell’unità nella diversità, la condivisione di un progetto comune finalizzato a promuovere il vigneto Liguria.

Il vini dei produttori, con il coordinamento di Pier Mattia Ravera ideatore tra l’altro della manifestazione Noli in Wine, a chiusura della cerimonia di premiazione, sono stati i protagonisti di un tardo pomeriggio e di una serata improntati alla tipicità dell’offerta gastronomica. L’avvio è stato deliziato da alcune chicche territoriali tipiche della norcineria italiana prodotte dal salumificio Levoni abbinate a focaccia ligure, sardenaira e panizza fritta realizzate dallo staff del ristorante Il Vescovado.

L’aperitivo serale è stato invece ispirato alle bollicine italiane ottenute da metodo classico, magistralmente raccontate e servite da Alessandro Scorsone, gradito ospite d’onore della serata; frizzanti emozioni che hanno esaltato le meravigliose ostriche liguri della Cooperativa Mitilicoltori Spezzini e le golose proposte di due conosciutissimi produttori dell’eccellenza  di Liguria, Giovanni Giacobbe con i suoi salumi artigianali e Aldo Lo Manto con le sue tome di pecora brigasca.

Una volta seduti a tavola gli ospiti che hanno affollato le sale affrescate della dimora vescovile, hanno quindi potuto degustare i piatti elaborati da tre chef di eccezione, riuniti per l’occasione. Giuseppe Ricchebuono padrone di casa e stella Michelin del ristorante Il Vescovado, Luca Bazzano chef del Ristorante Quintilio di Altare e Serenella Medone chef del Ristorante “Al solito posto” di Bogliasco (Ge).

Un viaggio inedito riuscito ed apprezzato , caratterizzato dai colori del mare e della terra di Liguria, che ha permesso a tutti i presenti di conoscere al meglio le grandissime potenzialità della viticoltura e della cucina del territorio regionale, attraverso i suoi protagonisti reali, ovvero produttori, cuochi e artigiani.

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