In compagnia del Lagrein

Il Lagrein è un vino presente sia in Trentino che in Alto Adige. Qui la zona di produzione va dalla conca di Bolzano alla Bassa Atesina, per spingersi fino all’Oltradige e alla Valle dell’Adige, ma la zona storica di produzione è concentrata nella più limitata piana di Bolzano. Il vitigno Lagrein predilige infatti condizioni pedoclimatiche particolari che qui sono ben presenti, infatti ci troviamo su terreni morenici, alluvionali profondi e con temperature calde, che arrivano anche a lambire i 40 °C.

L’espansione urbanistica di Bolzano, aveva causato una notevole riduzione della superficie del Lagrein, che alla fine degli anni ‘90 era scesa fino attorno ai 250 ettari. Da allora il vitigno è stato rivalorizzato e la sua superficie vitata è tuttora in espansione. Infatti alla fine del 2015 in Alto Adige ha raggiunto i 470 ettari rappresentando la seconda varietà a bacca rossa dopo la Schiava. 

Le zone privilegiate continuano ad essere la piana di Bolzano e dintorni oltre ai terreni caldi pedocollinari della Bassa Atesina su pendii collocati mediamente tra i 220 e 350 metri di altitudine.

Di questo vitigno sono particolarmente conosciuti due biotipi che si distinguono per la diversa forma e dimensione del grappolo: il Lagrein a grappolo corto e il Lagrein a grappolo lungo, con caratteristiche organolettiche diverse. Il biotipo a grappolo corto è più vigoroso di quello a grappolo lungo, ma è più sensibile all’acinellatura, con basse rese produttive, soprattutto quando le condizioni climatiche sono poco favorevoli. 

Le tendenze attuali di puntare esclusivamente sulla qualità hanno portato a cambiamenti e gli impianti moderni di Lagrein non sono più allevati a pergola, ma a contro spalliera con sesti d’impianto più fitti e produzioni molto inferiori per singolo ceppo rispetto al passato.

Come tutti i vitigni autoctoni italiani, anche il Lagrein ha una lunga storia, che accompagna l’impegno delle popolazioni locali identificandosi con la cultura dell’area. 

L’origine del “Lagrein” non è del tutto chiara. Il nome potrebbe derivare da “Lagarina”. Esiste, infatti, l’ipotesi che il vitigno abbia avuto origine vicino a Rovereto. Questo però non è scientificamente dimostrato, dato che oltre alla somiglianza fra i nomi non esiste nessun altro riscontro ad avvalorare tale ipotesi. 

Il Lagrein viene citato per la prima volta nel 1097 in un editto che fissa le norme della vendemmia riservate ai monaci del convento di Gries. In seguito, nel 1370, un editto dell’imperatore Carlo IV vietava il consumo alle truppe militari, perché troppo nerboruto, ordinando di dare ai soldati vini più leggeri. Forse per questo venne messa a punto la pratica di vinificare il Lagrein in rosato (kretzer), mentre il Lagrein rosso (dunkel) venne riservato ai nobili, con conseguenti rivolte popolari.

In Alto Adige, fino a qualche decina di anni fa chi voleva bere un vino rosato, piacevole e beverino, bastava che chiedesse un Lagrein. Oggi, grazie alla ricerca e al lavoro dei produttori, ma anche in conseguenza di un cambiamento di gusto avvenuto sui mercati, le cose sono cambiate e il Lagrein Dunkel si è raffinato, ingentilito, ma soprattutto impreziosito. È cambiato addirittura il disciplinare di produzione che denomina ora con il termine Lagrein solo il vino rosso, mentre per l’altro ricorre alla specifica Rosato/Kretzer. Personalmente lo preferisco vinificato in purezza, perché conserva le caratteristiche peculiari del vitigno, ma c’è chi ricorre al Cabernet o al Merlot, per modellarlo su un gusto più facile ai palati internazionali spesso omologati e poco avvezzi ad apprezzare quanto di originale e diverso sappiano esprimere le varie tipologie dei vitigni.

Nella sua specifica identità, il Lagrein Dunkel risulta un vino di buona struttura ed equilibrio, con bouquet di frutti di bosco, ciliegia e viola, sostenuto da note speziate nel caso in cui abbia condiviso la sua dimora in piccole botti di rovere. Cantine e produttori producono anche la tipologia “Riserva”, che viene messa in commercio dopo due anni e due mesi di affinamento. In bocca, il Lagrein Riserva si concede pieno, armonico, lungo ed esprime una pienezza vellutata, impreziosita quasi sempre da una morbida acidità in presenza di tannini nobili. La cucina altoatesina lo predilige sulla selvaggina, in particolare sul capriolo con la salsa di mirtilli, la lombata al ginepro, il gulash di manzo, i canaderli allo speck e funghi, gli stufati delle valli, ma anche sulle grigliate e sui formaggi erborinati. Il Lagrein Kretzer invoglia matrimoni di elezione sul pesce affumicato, sulle carni bianche, sui wurstel con i crauti, sui canerderli in brodo, sui schutzkrapfen, sui cavoli al lardo affumicato, sulla polenta e patate, sugli spätzle di spinaci…

Un percorso consigliato è quello di percorrere l’itinerario che collega Appiano con Merano dove la viticoltura si sposa con il paesaggio in ritmate sincronie di vigneti. Chiesette, castelli, paesini disegnati con tinte pastello, percorsi naturalistici sono inviti continui per un tappa. 

Ad Appiano la sosta è d’obbligo perché la cittadina è nota per i suoi vini pregiati e gli estesi frutteti che caratterizzano il paesaggio, ma anche per le numerose fortezze, i castelli e le residenze signorili. Qui ogni stagione ha qualcosa di particolare da offrire: le settimane eno-culturali in estate, il pattinaggio sul ghiaccio sul lago di Monticolo, l’escursione alle buche di ghiaccio, un fenomeno naturale molto particolare, oppure una passeggiata tra atmosfere e gusto seguendo 15 cartelli informativi collocati lungo il sentiero che collega Appiano a Cornaiano per conoscere la coltivazione della vite, il lavoro nelle vigne e la cura della vite e del paesaggio. Una sosta alla Cantina di  San Michele Appiano ci permette un’emozionante conoscenza dei vini della zona, grazie a un calice di Lagrein e per chi vuole ardire verso la complessità e di approfondire la conoscenza con questo vino protagonista del territorio, a un calice di Riserva.

Nelle vicinanze di Merano, Marlengo è abbracciata da vigneti e frutteti. Con i suoi 12 km di lunghezza, il Marlinger Waalweg, il sentiero della roggia di Marlengo, è il più lungo dell’Alto Adige. Creato ben 250 anni fa, il sentiero parte dal ponte di Tel e dopo una breve salita prosegue su terreno circondato da meleti e boschi ombreggianti. Dopo aver ammirato l’imponente Castel Lebenberg di epoca medievale, si costeggia il monte di Marlengo in leggera discesa fino al paese di Lana.

 Lungo l’intero sentiero della roggia di Marlengo si gode di una vista spettacolare sulle cime circostanti e sulla conca di Merano, la Val Passiria e l’imponente Gruppo di Tessa. A Marlengo la Cantina di Merano, nella linea Val Venosta Sonneberg offre una attenta declinazione di Lagrein che con un vertice acuto sul Segen della linea Selection vi allieterà con i suoi profumi fruttati con complessi aromi di liquirizia, cuoio, ciliegie e cioccolato amaro, appoggiati su bocca ben strutturata, tannini con morbido ed elegante retrogusto persistente.

 

Barbera, il territorio in un bicchiere

Nessun altro vino rosso italiano è cresciuto nella stima generale dei consumatori quanto la Barbera, perché versatile e declinabile in stili ed esigenze di consumo diverse, ma soprattutto perché ha in sé le potenzialità di riuscire a soddisfare la domanda mondiale di qualità e di quantità. Protagonista della viticoltura piemontese, il Barbera è di gran lunga il vitigno più diffuso in tutte le aree vitivinicole della Regione. A livello nazionale contende al Sangiovese il primato produttivo, infatti è presente anche in modo significativo nell’Oltrepò Pavese e nel Piacentino, dove assume altre denominazioni nel vino a cui dà origine; infine il vitigno è anche coltivato nel sud della Penisola e in Sardegna. Le sue terre di elezione sono tuttavia l’Astigiano e il Monferrato.

500 anni di storia
La prima citazione della Barbera appare in un documento catastale del 1512 del comune di Chieri, nei pressi di Torino. Circa 100 anni dopo, nel 1609, in una lettera rinvenuta nell’Archivio Comunale di Nizza Monferrato, risulta che vennero inviati “nel Contado di Nizza de la Paglia appositi incaricati per assaggiare il vino di questi vigneti, e in particolare lo vino Barbera per servizio di S.A. Serenissima il Duca di Mantova e di pagargli al giusto prezzo”.
Il silenzio di secoli si interrompe quando nel 1873, nei trattati di ampelografia di Leardi e Demaria a proposito della Barbera, si legge “… È vitigno conosciutissimo ed una delle basi principali dei vini dell’Astigiano e del basso Monferrato, dove è indigeno e da lunghissimo tempo coltivato…”.
Quando nel XIX secolo, con la nascita della piccola proprietà contadina, la viticoltura prese grande impulso in Piemonte, il vitigno Barbera venne scelto perché si trattava di un’uva che produceva in modo regolare con una buona resa in mosto; forniva vini piuttosto alcolici e colorati, in più l’elevata acidità fissa facilitava la conservazione del vino. Nizza Monferrato e il suo circondario furono l’area dove il vigneto di Barbera venne coltivato in purezza varietale, mentre nelle altre aree del Monferrato e del Tortonese era più frequente il vigneto “misto” e nelle Langhe e nel Roero, pur essendo ben presente, era superato per superficie dal Nebbiolo e dal Dolcetto.

… la svolta
I motivi per cui i produttori dell’Astigiano continuano a preferire questo vitigno rispetto ad altri sono un po’ diversi da quelli di un tempo. Il vino non è più un alimento a basso prezzo, ma un piacere della vita, e la Barbera, quando coltivata nelle zone più vocate, è in grado con i suoi vini di dare grandi soddisfazioni ai consumatori. I segnali del risveglio partirono negli anni Sessanta per opera di Arturo Bersano di Nizza, il primo a saper infondere nella Barbera le suggestioni e il plusvalore del territorio, della sua storia, della cultura e della civiltà contadina.
In seguito cantori appassionati e poetici come Gianni Brera, Mario Soldati, Luigi Veronelli, seppero celebrare la disperata resistenza della Barbera vino caparbiamente indomito e incrollabile come la gente delle sue colline. In quegli anni - racconta Gianluigi Bera - di clamorose sofisticazioni, di spregevoli frodi, di continue contraffazioni Guido Ceronetti lamentò in un suo scritto la scomparsa del vino genuino e Arturo Bersano gli rispose con un passo rimasto celebre “... mandiamogli un vino nascosto, vino da resurrezione, vino che daresti soltanto a tua madre malata...”.
Quel vino, manco a dirlo, era la Barbera, vino dall’anima misteriosa e potente, vino dalla spiritualità fatta di terra e di lune, di segreti e di stagioni.
Alla fine degli anni ‘80 l’anima della Barbera esplose grazie a un grandissimo personaggio: Giacomo Bologna.
Il resto è storia recente. L’innalzamento della qualità fu perseguito attraverso il miglioramento delle tecniche di vigneto, la selezione clonale, la riduzione delle rese per favorire una più alta qualità, la scelta oculata della data di vendemmia. In cantina, le nuove tecnologie favorirono il controllo della fermentazione malolattica, il cui meccanismo non era conosciuto fino a qualche decina di anni fa, per cui il vino fu reso più morbido al palato; infine l’affinamento in botti di legno di rovere e in barrique innalzò il vino ai piani nobili.

… un autoctono riservato
Il Barbera non è un vitigno “cosmopolita”, infatti fornisce le sue migliori performance enologiche, con vini di corpo, struttura e complessità, nella fascia collinare del Piemonte meridionale, compresa tra la pianura del Po a Nord e gli Appennini a Sud. Il vitigno predilige esposizioni calde e soleggiate e terreni calcarei piuttosto ricchi di limo e argilla e carbonati.
L’area di coltivazione coincide con il vasto comprensorio collinare noto ai geologi come bacino terziario piemontese, originato dal sollevamento del letto del mare, e la concentrazione maggiore la troviamo nel Sud Astigiano, tra Tanaro e Belbo (Nizza, Vinchio, Agliano, Costigliole…) con prevalenza della Docg Barbera d’Asti, e, con minore intensità, ma sempre come vitigno principale, a Nord del Tanaro (Nord Astigiano e Monferrato Casalese) con le denominazioni Barbera d’Asti e Barbera del Monferrato.
Il vitigno lo troviamo molto diffuso nelle Langhe e nel Roero con la Doc Barbera d’Alba, con il nome Barbera preceduto dal territorio nelle Doc Colli Tortonesi, Colline Pinerolesi, Colline Torinesi, Colline Novaresi, Canavese, Piemonte e, senza citazione del nome del vitigno, nella composizione delle seguenti Doc: Rubino di Cantavenna, Gabiano, Alba, Coste della Sesia Rosso, Langhe Rosso e Monferrato Rosso. Il Barbera è dunque uno dei vitigni più rappresentativi del Piemonte e interessa circa il 35% dei 53000 ettari di superficie vitata della regione.

… come nasce unA grande Barbera
Nessun tipo di rovere o di contenitore può sostituirsi alla qualità dell’uva e tanto meno al vigneto, perché finalmente i vignaioli hanno imparato che proprio dal vigneto trae origine la qualità che caratterizza il millesimo di quel vino. Oggi la carta d’identità di un vino di eccellenza è molto complessa, ma oltre alle caratteristiche organolettiche intrinseche al vino, si chiede che alle spalle abbia un territorio ben definito, una storia importante e la testimonianza che abbia fatto parte della cultura della civiltà contadina. La Barbera possiede tutte queste caratteristiche e le manifesta soprattutto in quel territorio che nell’Astigiano e nel Monferrato, oggi, è per buona parte patrimonio dell’Unesco. Nel sogno di un grande wine maker - Donato Lanati - paradossalmente il Piemonte attraverso questo grande vino avrebbe le carte in regola per competere con la più importante regione vinicola europea: la Borgogna, infatti, rispetto al Barolo o al Brunello, la Barbera ha il grande vantaggio di avere una potenzialità produttiva di 60 milioni di bottiglie…

… ma la Barbera è soprattutto Asti
Oggi la Barbera rappresenta senza dubbio, e forse più di ogni altro vino, un prodotto in continua evoluzione, che cresce seguendo le nuove conoscenze in campo viticolo ed enologico e che, per qualità e numeri, può essere proposto a un pubblico contemporaneamente curioso, esigente e vasto. Ottenuta la Doc nel 1970, a pieno titolo è considerata tra i più importanti vini rossi italiani e conquista crescenti consensi a livello internazionale, perché trova interpretazione in una ricca gamma di vini, contraddistinti da stili ben definiti: quelli che non subiscono alcun passaggio in botti di legno, per non perdere le caratteristiche primarie; quelli che maturano in botti di grandi dimensioni, per migliorare in complessità nel rispetto della tradizione; quelli che si completano con un passaggio in piccole botti di rovere, acquisendo stoffa ed eleganza, rivolte a un gusto più internazionale.

… dal 2008 una Docg di forte personalità con le sue sottozone
Le vigne devono essere piantate in collina, con esclusione del versante nord. Il vino deve essere ottenuto da uve Barbera dal 90% al 100%, con possibilità di assemblaggio con altri vitigni autorizzati in Piemonte, non aromatici, fino a un massimo del 10%. Ci sono sfumature differenti che caratterizzano la Barbera d’Asti in base ai territori e ai vigneti di origine e alle tecniche di vinificazione. Alcuni caratteri comuni sono il colore rosso rubino, particolarmente intenso nelle tipologie Superiore, tendente al granato con l’invecchiamento. Il profumo è vinoso ed è marcato il frutto: la ciliegia, la prugna, le bacche scure, che evolvono in sentori di confettura e frutta sottospirito, quindi note più o meno intense balsamiche, speziate e talvolta floreali; con la maturazione in legno sviluppa sentori di cannella, cacao e liquirizia. Al gusto risulta piena, l’impatto in bocca è di grande immediatezza, calore e armonia. La vena acidula tipica del vitigno, che nelle vinificazioni moderne è equilibrata e non eccessiva, le conferisce freschezza e grande facilità di abbinamento con il cibo. L’affinamento regala complessità e ricchezza di tannini dolci e vellutati e una lunga persistenza gusto-olfattiva.
La Barbera d’Asti Superiore è ottenuta da attente cure e selezioni delle uve in vigneto ed è affinata in cantina per un periodo minimo di dodici mesi, durante il quale deve trascorrere almeno sei mesi in botti di legno, completato da un periodo di maturazione in bottiglia. Si tratta di vini molto longevi, che si apprezzano anche dopo dieci anni di permanenza in bottiglia.
La versione Superiore può avvalersi dell’indicazione delle sottozone:
“Tinella” quando interessa l’intero territorio dei seguenti comuni: Costigliole d’Asti, Calosso, Castagnole Lanze, Coazzolo, e Isola d’Asti limitatamente al territorio situato a destra della strada Asti-Montegrosso;
“Colli Astiani o Astiano” è possibile assegnarlo ai vini di Azzano, Mongardino, Montaldo Scarampi, Montegrosso d’Asti, Rocca d’Arazzo, Vigliano; di Asti, limitatamente alla circoscrizione Montemarzo e San Marzanotto Valle Tanaro, e di Isola d’Asti solo per il territorio situato a sinistra della strada Asti-Montegrosso.

… il Nizza
Il Nizza Docg, ottenuto al 100% con sole uve Barbera, gode della specifica denominazione territoriale dal dicembre 2014; prevede anche la dicitura riserva e ricade sull’intero territorio dei seguenti comuni: Agliano, Belveglio, Calamandrana, Castel Boglione, Castelnuovo Belbo, Castelnuovo Calcea, Castel Rocchero, Cortiglione, Incisa Scappacino, Mombaruzzo, Mombercelli, Nizza Monferrato, Vaglio serra, Vinchio, Bruno, Rocchetta Palafea, Mosca, San Marzano Oliveto. In base al disciplinare può esserci anche la menzione della vigna seguita dal relativo toponimo, con rese medie di 6,3 tonnellate ad ettaro contro le 7 della menzione riserva.

… ma anche Barbera del Monferrato Doc e Docg
È la Doc più estesa: comprende le aree collinari viticole della provincia di Asti e tre comprensori viticoli (su cinque) di quella di Alessandria, che fanno capo alle tre cittadine di Acqui, Casale Monferrato e Ovada. Il disciplinare di produzione prevede oltre al vitigno Barbera il possibile impiego di altri vitigni, Freisa, Dolcetto o Grignolino, fino a un massimo del 15%. Ne esiste una versione tradizionale vivace, cioè leggermente effervescente, da consumare giovane.
C’è poi la versione più austera della Barbera del Monferrato, la Superiore che, come la Barbera d’Asti, è un vino Docg dal 2008. Il disciplinare prevede un periodo di affinamento in botti di rovere, piccole o grandi. Nella maggioranza dei casi può essere frutto di Barbera in purezza o di assemblaggio con un massimo del 15% di Freisa (utilizzata nel Monferrato Casalese), Dolcetto (impiegato nell’Alto Monferrato) o Grignolino.

… poliedrica negli abbinamenti
La Barbera può essere vino da tutto pasto, completa e soddisfacente in ogni occasione. Se affinata e strutturata sposa particolarmente bene i secondi piatti quali gli arrosti, il coniglio, il fritto misto e i formaggi a pasta dura dal gusto potente, ma, più giovane, esalta oltremodo anche i tradizionali minestroni piemontesi (da quello di ceci e costine di maiale a quello di fave) e le polente tipiche, che la ‘cucina povera’ astigiana ha prodotto e tramandato quale patrimonio di cultura gastronomica, dalla polenta con il cavolo a quella con la bagna d’infern, da quella con merluzzo al verde a quella concia. Una giovane Barbera è inseparabile dal piatto, che per antonomasia, racconta il Piemonte, ovvero la bagna caôda. Originaria proprio del Monferrato è da sempre il piatto della convivialità. Nella bagna s’intingono i più vari ortaggi, che la terra astigiana dava e dà ancora con generosità, alcuni dei quali hanno ottenuto importanti riconoscimenti per la loro tipicità ed eccellenza qualitativa, come i peperoni quadrati di Motta, i cardi gobbi di Nizza, la cipolla bionda di Asti...
La Barbera accompagnava e accompagna tutt’oggi piatti tipici come le trippe, gli zampini di maiale (batsuà), i ceci con la testina o la coda di bue. Le versioni di Barbera meno impegnative si abbinano da sempre al carpione delle vallate del Tanaro, un modo del tutto particolare di rendere meglio commestibili e conservare alcuni pesci d’acqua dolce, come carpe, tinche e barbi, dalla carne saporita ma molto liscosa.
C’è poi la cucina borghese che con questo vino si esalta, dall’insalata di carne cruda di fassone piemontese, alle acciughe al verde, al vitello tonnato; dai peperoni scottati alla fiamma, ai fiori di zucchino ripieni; dal cardo gobbo di Nizza con fonduta, ai nervetti in insalata... Tra i primi piatti gli agnolotti quadrati e quelli del plin, i tajarin e i risotti del Casalese. Poi tra i secondi, eccellono il fritto misto (di cervello, animella, fegato, cotoletta, mela, amaretto, semolino, salsiccia, fungo), il bollito (con vari tagli di carne bovina piemontese compresa la testina, più la gallina), la tasca ripiena, la frittata rognosa (con salame ed erbe), quella di rane e quella di lavertin (cime di luppolo) e il collo di tacchino ripieno.

… poi la versione passita con i dolci della tradizione
I dolci del Monferrato astigiano sono in prevalenza secchi. Un abbinamento curioso è accompagnarli con le versioni di Barbera passita che alcune aziende producono. Da provare con gli amaretti di Mombaruzzo, i baci di dama, i crumiri di Casale, i finocchini di Refrancore, le polentine del Palio, la torta monferrina, la tirà, i canestrelli di Cinaglio.
A questi si possono aggiungere il famoso bunet con l’amaretto, la torta di castagne e su tutti le pere cotte con la Barbera.

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ricettario Barbera

 

 

Vallagarina

 

Se puntate un dito sulla cartina d’Europa, cercando di individuarne il punto centrale, molto probabilmente il vostro dito sarà capitato sul Trentino. E nel centro del Trentino sta Rovereto. Esattamente sullo spartiacque fra nord e sud del vecchio continente, ma anche sulla linea mediana che delimita l’ovest dall’est.
Insomma, qui siamo nel cuore del cuore d’Europa, un “cuore” dinamico, ma anche a misura di persona, infatti questa è la terra che occupa stabilmente, ogni anno, i primissimi posti delle classifiche nazionali sulla qualità della vita. Se n’erano già accorti gli illustri viaggiatori che a partire dal Settecento iniziavano da qui il loro “grand tour” alla scoperta d’Italia. Una porta d’ingresso frequentata e ammirata da grandi scrittori, intellettuali, artisti. Una forma di turismo “ante litteram”, verrebbe da dire: sorprendentemente già legata al vino e alla cultura enologica. Basti pensare ad esempio a Mozart, sommo cantore del Marzemino lagarino, vino immortalato nel secondo atto del Don Giovanni. A Vienna infatti, in quegli anni, il vino più in voga era proprio il Marzemino lagarino, che riusciva a giungere in questa città nonostante i pesanti veti di Trento. Il Marzemino celebrato (e gustato) da Mozart proveniva in gran parte dal territorio del Comun Comunale, l’antica istituzione amministrativa che riuniva i comuni della sponda destra dell’Adige fra Aldeno e Isera che si occupava della difesa di interessi collettivi e della gestione del territorio e dei beni comuni (boschi, ponti, strade). Si trattava di una libera comunità che si governava con organi propri secondo una propria Carta di Regola. Inizialmente ne facevano parte sedici comuni, in seguito sette: Aldeno, Cimone, Isera, Nogaredo, Nomi, Pomarolo, Villa Lagarina, tutti nell’attuale provincia di Trento. Il centro principale di produzione era, allora come oggi, la giurisdizione di Isera, tanto che ad essa spettava fissare il prezzo di vendita di questo vino.
L’area si sta nuovamente segnalando grazie alle iniziative intraprese dall’Amministrazione comunale di Rovereto, in particolare quelle dedicate ai valori dell’ecosostenibilità in viticoltura a cui la guida Vinibuoni d’Italia del Touring presta molta attenzione. Proprio a Rovereto è sorto un nuovissimo centro di eccellenza dedicato alla ricerca e al fare impresa applicati alla green economy. Si chiamerà “Manifattura domani” ed è un ennesimo esempio di come questa città sappia coniugare tradizione e visione di futuro, vocazione storica e apertura al mondo. Ma è anche un esempio di come si possa coniugare ambiente e sviluppo, specie nel campo vitivinicolo. E non a caso, l’Amministrazione comunale di Rovereto sta ponendo da alcuni anni molta attenzione alle produzioni “bio” e “naturali”, tanto che nel 2011 è anche sorta a Rovereto una speciale rassegna internazionale -“NaturaMente Vino”, dedicata espressamente a questo tipo di produzioni, dall’Italia e dal mondo.
In Vallagarina, territorio favorito climaticamente dall’incontro delle Alpi con la pianura e protetto dal Lago di Garda, è nata la prima Strada del vino e dei sapori riconosciuta in Trentino. Legami ancestrali, pagine di vita e di viti hanno scritto la storia di coloro che abitano questa superba vallata. Vitigni storici, come il Marzemino, giunto a noi attraverso innumerevoli peripezie, al limite tra il magico e il misterioso, unitamente al Bianco Nosiola all’elegante Merlot, al possente Cabernet al fragrante Moscato, fino all’aroma fruttato del Müller Thurgau sono tentazioni allettanti per scoprire abbinamenti gastronomici unici. Qui, in un progetto di turismo integrato, 100 soci si sono dati l’obbiettivo comune di far conoscere al turista i luoghi ma soprattutto i cibi e i vini lagarini.
La ricchezza del suolo e di microclimi ha influenzato nel tempo la varietà di prodotti enogastronomici: oltre ai vini la cui produzione supera il 40% di quella provinciale possiamo trovare la carne equina, il Vezzena, i formaggi del Monte Baldo, i marroni di Castione e gli ortaggi biologici della Val di Gresta.
La gastronomia ed i piatti tipici sono quelli della cucina trentina con qualche influsso della tradizione culinaria ereditata dai veneziani. 
Nei ristoranti è disponibile una ricca gamma di piatti caratteristici, spesso rivisitati dalla fantasia dei cuochi. Su questi piatti il Marzemino non ha cedimenti e ci conforta con il piacere del suo sorso e con i richiami mitologia! Recenti indagini fanno ritenere che i semi originari dell’uva Marzemino provengano addirittura dalla città di Merzifon, in Paflagonia, come scriveva Omero, il paese di Diomede. Secoli e secoli di peregrinazioni nella “culla” mediterranea: le uve Marzavi sono citate prima in antichi registri commerciali a Cipro, poi sulla costa dalmata e via via nei centri di scambi agricoli lungo la foce del Po e dell’Adige, fino a giungere ai piedi delle Dolomiti. Un viaggio avventuroso, legato anche ad altre, affascinanti leggende, come quella che risale al secolo scorso, secondo la quale il nome Marzemino deriva dalla denominazione di un villaggio della Carniola, centro rurale ora scomparso, situato tra la Carinzia e la Slovenia, paese chiamato appunto Marzmin. Su questo affascinante vino immancabili i canederli (in brodo o al sugo), gli strangolapreti, gnocchetti di pane e spinaci, a volte arricchiti con ricotta o con verdure selvatiche, conditi con burro fuso o creme di formaggi, gnocchi di patate, polenta di granoturco (servita anche ai ferri o pasticciata) accompagnata da spezzatini (famosissimo il “tonco del potesèl”), da funghi e formaggi. 
Personalmente, nelle versione giovane e fresca, Il Marzemino lo abbino volentieri anche sulla carne salada, di cui ogni cuoco custodisce gelosamente gli ingredienti e le modalità della concia.

I Marzemino premiati nell'edizione 2015 della guida

 

 

Friulano in corto

La 83a Fiera Regionale dei Vini a Buttrio (6-7 e 13-14 giugno) si preannuncia un’edizione ricca di novità. Crescere ed innovare una formula di promozione del territorio pur nel rispetto della tradizione, questo l’obiettivo che si sono posti gli organizzatori della storica Fiera Regionale dei Vini di Buttrio, Pro Loco Buri e Comune di Buttrio. E coerentemente con questo mandato, viene dato l’avvio alla prima edizione di FRIULANO IN CORTO, un concorso aperto a videomaker residenti in Italia, Austria, Slovenia e Croazia, che dovranno produrre sul tema “Wine and roots” un video originale, di durata compresa tra i 6 e gli 8 minuti, con riprese effettuate sul territorio della Regione Friuli Venezia Giulia. Il concorso è realizzato con il sostegno del Comune di Buttrio e di ERSA e con il patrocinio di Turismo FVG.
Giocando sul tema del cortometraggio, Friulano in Corto si propone come una vera maratona a tappe serrate. I videomaker interessati dovranno proporre la propria candidatura entro il 5 maggio mandando la scheda di adesione all’indirizzo friulanoincorto@buri.it
Tra tutte le candidature verranno selezionate solo 10 videomaker (singoli o gruppi) che a partire dal 10 maggio fino al 5 giugno dovranno produrre i propri elaborati. Tutti i dettagli e il regolamento sono disponibili sul sito www.buri.it
Il 14 giugno 2015, nell’ambito della 83a Fiera Regionale dei Vini-Buttrio, presso la Villa di Toppo Florio ci sarà la proiezione dei video pervenuti. I lavori saranno valutati da una giuria di esperti presieduta dal celebre direttore della fotografia di origini carniche Dante Spinotti, da anni al fianco dei più grandi registi americani. Insieme a lui Paolo Vidali direttore del Fondo Audiovisivo FVG, Federico Poilucci presidente di Film Commission FVG, Ana Lampret dello Slovenski Filmski Center, Arianna Floreanini Assessore alla Cultura del Comune di Buttrio e Paola Coccolo Direttore servizio promozione di ERSA Agenzia Regionale per lo sviluppo Rurale della Regione Friuli Venezia Giulia.
In palio un premio di di € 3.000,00 (tremila/00) per il vincitore e un rimborso spese di €500,00 ai dieci selezionati.
L’83a edizione della Fiera Regionale dei Vini vedrà anche incontri dibattito aperti al pubblico con la presenza di filosofi, storici intellettuali, artisti e musicisti che disquisiranno sul mondo del vino. Avremo la presenza il 7 giugno di La Scimmia Nuda Quartet, il 13 giugno di Massimo Donà trio con Davide Riondino e il 14 giugno i Playa Desnuda.
Il vino e le sue degustazioni restano comunque il tema attorno a cui ruota l’intera manifestazione. Buttrio con la sua 83a edizione della Fiera dei Vini, diventa capitale della produzione nazionale di vini da vitigno autoctono, come è stato annunciato lo scorso Vinitaly dal direttore dell’ERSA Paolo Stefanelli insieme al sindaco di Buttrio Giorgio Sincerotto e Mario Busso, curatore nazionale della guida Vinibuoni d’Italia del Touring. Con quest’ultima infatti è nato un connubio che si è consolidato con la gestione nell’ambito della kermesse friulana di laboratori del gusto e con la selezione degli autoctoni friulani che entrano poi a far parte della guida Vinibuoni d’Italia. Da tre anni Buttrio e Villa Di Toppo Florio sono anche sede delle selezioni a livello nazionale per l’assegnazione delle Corone e delle Golden Star ai migliori autoctoni, decretate dalle Commissioni della guida e dalle commissioni esterne di giornalisti, sommelier, consumatori.

bando friulano in corto

Competition FRIULANO IN CORTO 2015 English

 

Degustazioni e riflessioni a Badia di Morrona

Badia di Morrona è un luogo di serenità e pace che si distende sulle colline toscane, raccogliendo nei suoi 500 ettari vigneti, boschi, seminativi e pascoli che disegnano un paesaggio dai tratti ameni e integri. Ad ospitare i coordinatori della guida Vinibuoni d’Italia i suggestivi ed antichi casali che compongono la proprietà dominata appunto dalla Badia. A fare da padrone di casa  Maddalena Mazzeschi, una delle firme italiane più autorevoli nella comunicazione del vino.
La storia della Badia comincia nell’anno 1000 e nel convento dei Monaci Benedettini già si produceva vino. Una vocazione ripresa fin dal 1939 dalla famiglia Gaslini che attualmente ha ampliato la proprietà puntando alla valorizzazione delle potenzialità enoiche e turistiche del territorio, valorizzando in particolare i vini da vitigni autoctoni che qui raggiungono punte qualititative di estremo interesse.
In questo luogo di assoluto relax, la Redazione e il curatore nazionale della guida Mario Busso hanno dato avvio ai lavori della nuova edizione, ricordando il rigore etico che la caratterizza, la trasparenza assoluta delle scelte, la libertà di giudizio dei coordinatori, la necessità della condivisione degli obiettivi e le modalità di degustazione.
Importanza decisiva proprio alla valutazioni dei vini che devono premiare fragranza, bevibilità e corrispondenza vino-vitigno-territorio. A questo proposito i coordinatori si sono tarati esprimendo ognuno e condividendo il proprio giudizio su un vino portato in guida nella passata edizione. Convergenza, coerenza ed omogeneità sono gli elementi emersi da un gruppo ormai coeso di 25 coordinatori a cui per la nuova edizione si sono uniti altre nuove firme.

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Joe Bastianich: vino e territorio

Joe Bastianich non manca mai a Vinitaly, fin dal 1987, come ha lui stesso dichiarato.
Lo abbiamo incontrato nel suo stand, nel padiglione del Friuli Venezia Giulia, attorniato da tantissimi fan ed appassionati, e abbiamo aprofittato della sua disponibilità per qualche domanda.

Joe Bastianich, da una parte produttore e dall'altra ristoratore. In questa doppia veste, cosa cerchi in un vino, a seconda dei casi?

Dal punto di vista del produttore per me sono molto importanti due cose, almeno nei mie vini, non sarà così per tutti probabilmente... io sono arrivato a produrre vino come secondo o terzo lavoro nella mia vita e questo mi permette di fare due cose fondamentali: rispettare la varietà e il territorio, con interventi minimalistici, in modo che a parlare siano il terroir e il suo vitigno e poi la cosa forse più importante creare vini che sono molto personali, nel mio caso sono anche un po' estremi, perchè ho la fortuna di poter presentare vini che non vanno sempre nella direzione del mercato, anzi spesso sono controtendenza.
Come acquirente di vini è tutta un'altra cosa, perchè non vai alla ricerca dei tuoi gusti personali, nel senso che come ristoratore io cerco di comprare vini che possano accontentare i nostri clienti e che si abbinino al cibo. E' più una scelta che rispetta la proposta culinaria e il tipo di pubblico che viene a consumarli.

A volte la ricerca dell'affermazione sul mercato può spingere un produttore a cercare di mettere in luce gli aspetti più ruffiani di un vino, a costo di snaturarne la tipologia. Come giudichi questo approccio?

E' un errore assoluto, il mercato cambia troppo velocemente.
Se pensiamo ad uno chef, un ristorante, che cercasse di seguire la moda cambiando piatti ogni giorno, difficilmente ce la farebbe.
Col vino è praticamente impossibile, i tempi di produzione sono così lunghi che cercare di seguire una tendenza non è praticabile.
La cosa più coraggiosa e interessante è invece cercare di crearla una tendenza.

La guida ViniBuoni d'Italia ha instaurato da alcuni anni una partnership con il Comune di Buttrio, dove svolge ogni anno le finali aperte al pubblico. Quest'anno inoltre Buttrio diventa la capitale italiana dei vini autoctoni e la sua fiera regionale diventa nazionale. Cosa ne pensi di questo territorio che è anche il tuo?

Io ho iniziato il mio percorso vinicolo a Buttrio, e qui secondo me, anche nel contesto dei Colli Orientali e più i generale del Friuli, c'è forse il più grande terroir per i vini bianchi in Italia e uno dei più grandi nel mondo.
Buttrio ha un abbinamento raro tra terreno collinare e clima caldo con un buono sbalzo termico, e queste due cose fanno sì che qui si producano tra i migliori vini bianchi in Italia e al mondo, non solo perchè lo facciamo noi, ci sono altre aziende che lo dimostrano.

La Guida ViniBuoni d'Italia ha come pecularità da sempre l'attenzione ai vini da vitigno autoctono italiano. L'Italia vanta il maggior numero di vitigni autoctoni al mondo, quanto è importante continuare a investire su questo patrimonio?

Fortunatamente in questo momento c'è anche un po' di moda, di tendenza legata ai vitigni autoctoni, che sono una delle cose che distinguono l'Italia nel mondo, assieme al cibo.
Più in generale la biodiversità che c'è in Italia non si riscontra da nessuna altra parte al mondo, per cui anche nel vino è importantissimo cercare di promuovere le tante varietà presenti, anche quelle magari un po' più dimenticate. E la cosa per me ancora più fondamentale è abbinare i vini con il cibo locale.