Ai territori del progetto BIOWINE il premio speciale Ecofriendly

Quaranta (curatore scientifico): «Soddisfatto e orgoglioso per questo prestigioso premio che riconosce il grande lavoro portato avanti dai diversi territori coinvolti»

Assegnato ai territori coinvolti nel progetto ‘Biowine’ (Biological Wine Innovative Enviroment) il ‘Premio Speciale Ecofriendly Vinibuoni 2020’. L’importante riconoscimento viene conferito dalla guida Vinibuoni d’Italia in collaborazione coni partner Verallia, Repower e Amorim.

I territori premiati, Sannio e Cilento in Campania e la Val d’Agri in Basilicata, hanno implementato, rafforzato e diffuso pratiche sostenibili nella produzione vitivinicola e hanno saputo coinvolgere le comunità locali in un processo di condivisione e crescita dei valori del rispetto dell’ambiente, delle produzioni locali, della salute dei consumatori e del benessere della società”.
La cerimonia di consegna del riconoscimento è programmata per sabato 9 novembre (dalle ore 10.30) a Merano, nel corso della presentazione dell’edizione 2020 della guida Vinibuoni d’Italia, che si svolgerà nell’ambito del ‘Merano Wine Festival’.
«Sono particolarmente soddisfatto e anche un po’ orgoglioso - dichiara il curatore scientifico di Biowine, Giovanni Quaranta - per questo prestigioso premio perché riconosce il grande lavoro che è stato portato avanti dai territori coinvolti nel progetto. Un riconoscimento che valorizza, soprattutto, il grande salto culturale che gli stessi hanno compiuto. É’ proprio questo che voglio sottolineare. La scommessa della sostenibilità ambientale - spiega Quaranta - è stata coniugata, con grande intelligenza, alla sostenibilità economica e a quella sociale. É indubbio, infatti, che i territori hanno riconosciuto l’importanza di regolare la gestione delle risorse naturali, riconoscendo in queste ultime un asset fondamentale per la riproducibilità del sistema socio-ecologico ma, allo stesso tempo, hanno saputo cogliere l’opportunità di valorizzazione economica e di competitività che passa attraverso la gestione green. Queste due opzioni strategiche, infine, sono state declinate all’interno di una piattaforma multi-attoriale che ha messo insieme i diversi attori territoriali, concretizzando quella che viene definita governance multilivello e che, nella sostanza, può rappresentare la vera chiave di volta per la sostenibilità sociale della pratica e, più in generale, di un territorio. È un modo di lavorare insieme - conclude il professore Quaranta - che fa ben sperare e che apre a possibilità sempre più feconde di collaborazioni e sinergie, grazie anche al grande lavoro “culturale” fatto attraverso la pubblicazione della Guida».

Il progetto ‘Biowine’ - finanziato nell’ambito del Pon Governance 2014/2020 su iniziativa dell’Agenzia per la Coesione Sociale, in virtù del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale dell’unione Europea - coinvolge importanti realtà vitivinicole del Veneto, della Campania e della Basilicata e rappresenta un importante esempio di trasferimento di know-how e buone pratiche sui temi dell’innovazione tecnologica in agricoltura, della tutela dell’ambiente e del marketing territoriale. Interessati, quale Ente cedente della buona pratica il Comune di San Pietro di Feletto dell’area Docg Conegliano-Valdobbiadene in provincia di Treviso e quali Enti Riusanti alcuni comuni che appartengono alle aree del Sannio, del Cilento e della Val d’Agri (Guardia Sanframondi – Ente Capofila, Castelvenere, Sant’Agata de’ Goti e Solopaca in provincia di Benevento; Caggiano e Sant’Angelo a Fasanella in provincia di Salerno; Castelfranci in provincia di Avellino; Roccanova e Grumento Nova in provincia di Potenza).

Vinibuoni con B'NU e Let's Talk #NU a Merano

B’NU e il progetto Let's Talk #NU sbarcano al Merano Wine Festival: per la prima volta uno spazio dedicato alla Sardegna ed alle sue eccellenze enologiche e gastronomiche, con focus, speech e approfondimenti sul vino, sul cibo e sul territorio.

Un’area tasting per degustazioni esclusive, un’area accoglienza per un viaggio nel gusto che ha come destinazione finale la B’Week, l’evento che si terrà a Nuoro dal 29 Novembre al 1° Dicembre 2019.

Vinibuoni d'Italia rinnova il legame con il progetto di promozione del territorio a cura della Camera di Commercio di Nuoro, che ha ospitato quest'estate le finali nazionali della guida a Orosei.
Domenica 10 novembre alle ore 18:00 si parlerà di “Sardegna isola #DIVINA”, il focus sulla comunicazione della Sardegna dell’enoturismo, inserito nella nuova edizione di Vinibuoni d'Italia. Seguirà una degustazione delle etichette protagoniste nel concorso B'NU e coronate dalla guida.

Ecco il programma completo dello spazio dedicato a B'NU e al progetto Let's Talk #NU a Merano.

Venerdì 8 Novembre

10:00-20:00 | Apertura spazio B’NU e banco d’assaggio libero Sardegna

12:00-14:00 e 18:00-20:00 | Cocktail Corner Silvio Carta

15:00 | Tasting “7 spose per 7 fratelli” - Sette donne del vino presentano altrettante espressioni del Vermentino in Sardegna. Ingresso libero su prenotazione

17:00 | Speech “Gemellaggi: le nuove generazioni di Sardegna e Monferrato dialogano”. Tre giovani produttori piemontesi e tre vignaioli sardi si confronteranno in una sorta di intervista doppia. Lo scopo? Trovare le motivazioni per collaborare e crescere insieme. Riservato Stampa e ospiti

Sabato 9 Novembre

10:00-20:00 | Apertura spazio B’NU e banco d’assaggio libero Sardegna

11:00 | Tasting “Prosecco DOC & gli autoctoni sardi”. Un percorso di degustazione alternativo, che vede sullo stesso palcoscenico il vino più diffuso al mondo e i vini bianchi provenienti da vitigni autoctoni sardi meno noti. Ingresso libero su prenotazione

12:00-14:00 e 18:00-20:00 | Cocktail Corner Silvio Carta

13:00 | Tasting “Barbera e Cannonau sinonimi e contrari”. Una degustazione per delineare i caratteri di questi due rossi italiani. Ingresso libero su prenotazione

15:00 | Speech “Territorio valore per la DOC, o DOC valore per il territorio?” Ovvero, quanto pesa la Denominazione? Riservato Stampa e ospiti

17:00 | Conferenza Stampa di presentazione della B’Week. L’appuntamento centrale di tutto il programma, un evento nell’evento. A seguire la Premiazione B’NU Spirits 2019. Riservato Stampa e ospiti

Domenica 10 Novembre

10:00-20:00 | Apertura spazio B’NU e banco d’assaggio libero Sardegna

12:00-14:00 e 18:00-20:00 | Cocktail Corner Silvio Carta

12:00 | Tasting “Tutti gli Oro di B’NU 2019” - I BIANCHI. Ingresso libero su prenotazione

14:00 | Tasting “Tutti gli Oro di B’NU 2019” - I ROSSI. Ingresso libero su prenotazione

Ore 16:00 | Speech “La vite millenaria più grande del mondo vive in Ogliastra”. Riservato Stampa e ospiti

Ore 18:00 | Talk/Tasting “Sardegna isola #DIVINA”, in collaborazione con La Guida Vinibuoni d’Italia. Comunicare la Sardegna dell’enoturismo. A spasso per l’isola con le Corone di Vinibuoni d’Italia 2020.

Lunedì 11 Novembre

10:00-20:00 | Apertura spazio B’NU e banco d’assaggio libero Sardegna

11:00 | Mini-Lesson “PROSECCO NOT ONLY TOP UP”. A lezione di Sparkling Cocktails. Riservato stampa e ospiti

12:00-14:00 e 18:00-20:00 | Cocktail Corner Silvio Carta

14:00 | Tasting “Il rosa è Maschio”. Un confronto ad armi pari, quello tra i rosati sardi e i rosati del Monferrato, uno scambio di idee tra players dello stesso mercato in una vetrina importante come il MWF. Ingresso libero su prenotazione

MASTERCLASS - HOTEL TERME MERANO

Lunedì 11 novembre – 12.00-13.00 | Guido Invernizzi

1) Sardegna: una tradizione millenaria - Gli Irripetibili. Vini unici per annata, per tipologia e per vitigno

Lunedì 11 novembre – 13.30-14.30 | Alessandro Scorsone

2) Sardegna: una tradizione millenaria - Rosso Cannonau. Un tasting alla scoperta dei mille volti del Cannonau di Sardegna

Golden Gate: un’oasi di suggestioni in Gallura

L’interno della Gallura è un paesaggio ricco di suggestioni. Profondamente diverso dalla costa, ammicca con le sue rocce granitiche a cui fanno da contrappunto cromatico i boschi di quercia e di leccio e i profumi del mirto. Lasciata la costa, poco distante da Bordigiadas e Tempio Pausania, al chilometro 53 della statale 127 si trova, circondato da un’ordinata vegetazione tra cui spiccano ulivi centenari, il Golden Gate. Una tappa irresistibile e irrinunciabile che ritengo opportuno segnalare a chi ama l’autentica cucina di territorio.
Qui mare e montagna si confrontano all’insegna della qualità, grazie a materie prime ricercate e all’abile fantasia dello chef Gianfranco Pulina che, con il suocero Gigi Sini, fa di ogni piatto un’opera d’arte e una delizia per il palato. Una sosta imprescindibile all’insegna del buon gusto. Un’oasi che consiglio a tutti gli amici che partono per la Sardegna, perché la voce 'territorio' non è un'etichetta utilizzata per enfasi modaiola, ma è frutto di costante ricerca.
Il ristorante è parte integrante dell’omonimo hotel aperto nel 1991, poi ampliato e rimodernato negli anni. La struttura attualmente è provvista di una decina di camere tutte arredate con i colori pastello dello stile gallurese, inserti in pietra e ceramica sarda.
L’identità isolana dei piatti è confermata dal racconto di Gianfranco, che con passione ti porta a visitare il santa santorum delle sue meticolose selezioni di prodotti. Lo spazio fresco di una cantinetta sotterranea, mi ha messo difronte alle migliori materie prime sarde tradizionali.
A indicarmele, insieme a Gianfranco, è Gilberto Arru, ideatore dell’evento Paleosapori e quindi uno dei massimi conoscitori della cultura gastronomica della regione, oltre ad essere il coordinatore regionale della guida. Non ci sono defezioni: dalle farine alla fregula, dall’olio ai pani tradizionali, dai vini ai salumi; dai formaggi al tonno prodotto in loco da Gianfranco, fino alle birre. Tutto è un inno all’abilità e alla passione con cui i piccoli produttori dell’isola hanno saputo toccare le vette dell’eccellenza. Proprio l’acqua oligominerale di Bortigiadas, utilizzata non filtrata, è uno degli ingredienti protagonisti della birra di Gianfranco, una blanche chiara con evidenti ispirazioni a quelle del Belgio, pensata e proposta in abbinamento al crudo di mare.
Se dunque la filosofia del locale esprime quella coerenza, oggi molto predicata ma assai poco praticata, che porta ad assaporare piatti che sono in piena sintonia con la cultura del territorio, non mi resta che ricordare le sensazioni che ho vissuto a tavola, tuttora vive e stimolanti.
La proposta in menù, come ho detto, è ricca di suggestioni di mare e di terra e segue la disponibilità di stagione. Nei tre giorni in cui sono stato ospite presso la struttura, pur avendo privilegiato il mare, non ho trascurato assaggi di terra. Un paradiso di sensazioni golose di cui regalo ai lettori le immagini, che già di per sé preludono, partendo dagli occhi, a tutta la ricchezza di emozioni che si potranno godere al palato.
I vini, sapientemente abbinati, sono i versi di una poesia che dalla cantina salgono al bicchiere e poi al cuore.

Mario Busso

WINEAROUND IN LIGNANO

1-2 GIUGNO 2018 – DALLE 17 ALLE 24
LIGNANO SABBIADORO
PARCO DEL MARE – LOCALITA' LIGNANO PINETA

Il festival enogastronomico itinerante WINEAROUND - VINI E DINTORNI approda per la prima volta in Friuli Venezia Giulia.
L'appuntamento è dall'1 al 2 giugno 2018 nel comune di Lignano Sabbiadoro (UD), all’interno del Parco del Mare in Località Lignano Pineta, con accessi da Viale a Mare e da Lungomare Alberto Kechler.
L'evento è organizzato dall'associazione FoodAround, in collaborazione con la guida Vinibuoni d'Italia edita dal Touring Club Italiano, con il patrocinio del Comune di Lignano e di Promo Turismo FVG ed il supporto di Lignano Pineta e Fondazione Italiana Sommelier Friuli Venezia Giulia.

DEGUSTAZIONE E MOSTRA MERCATO
Oltre 500 vini da tutta Italia in degustazione, con 16 cantine del territorio che propongono le loro etichette in assaggio e vendita, e i banchi di degustazione della guida Vinibuoni d'Italia, dedicati ai vini da vitigni autoctoni e agli spumanti Italiani.
E inoltre una selezione di birre artigianali del Friuli Venezia Giulia e tipicità gastronomiche locali.

RISTORAZIONE
La parte gastronomica del festival vede anche un ricco menu con specialità di carne e pesce, salumi e formaggi tipici, da abbinare ai vini e alle birre in degustazione, a cura dei ristoranti BBQ Garden Grill e La Granseola e dell'associazione FoodAround.

DEGUSTAZIONI GUIDATE
Ogni giorno vengono proposti due percorsi tematici, dedicati ai vitigni tipici del Friuli Venezia Giulia, con un vero e proprio tour all'interno delle interpretazioni dei varietali, guidato da Giovanni Munisso, tecnologo alimentare e divulgatore enologico, in cui saranno protagoniste le etichette delle cantine presenti.
Sarà possibile iscriversi alle degustazioni guidate sia alle casse dell'evento, fino ad esaurimento posti, oppure in prevendita sul sito winearound.it per approfittare delle offerte.

A PROVA DI FAMIGLIA
Non mancherà uno spazio ludico/creativo dedicato ai più piccoli, per chi vorrà partecipare al festival con tutta la famiglia.

DATE E ORARI
Il festival avrà luogo dall'1 al 2 giugno, all'interno del Parco del Mare di Lignano Pineta, dalle 17 alle 24.
L'ingresso all'evento è libero e i visitatori potranno acquistare direttamente in cassa durante la manifestazione o in prevendita sul sito www.winearound.it le degustazioni desiderate o il "Percorso assaggio", che consente l'assaggio di tutti i vini presenti alla manifestazione.

UN FESTIVAL SMART
WineAround sarà anche all'insegna dei pagamenti e acquisti “smart”, grazie a Satispay, il sistema di pagamento tramite app su smartphone ormai diffuso in tutta Italia, con uno cashback del 10% per chi lo utilizzerà per acquistare le degustazioni, e Clicknbuy il rivoluzionario sistema di acquisto perfezionato da Enosocial, partner della guida Vinibuoni d'Italia, che consente ai visitatori di acquistare le etichette delle aziende aderenti con una semplice foto della bottiglia, ricevendole comodamente a casa.

EVENTI OFF
Nelle enoteche e ristoranti di Lignano aderenti saranno proposte degustazioni a tema nei giorni precedenti la manifestazione.

Ufficio Stampa
Associazione Culturale Enogastronomica FoodAround
info@foodarounditaly.it
infoline 392.8828211

Per prenotazioni alberghiere : www.lignanoholiday.com

Ein Prosit non solo wine&food

Sono una decina di anni che Vinibuoni d’Italia partecipa all’evento realizzato a Tarvisio, la città di confine che dal Friuli Venezia Giulia apre i suoi orizzonti verso la Mitteleuropa attraverso l’Austria e la Slovenia, mercati sempre più vivaci che rappresentano soluzioni interessanti per l’imprenditoria italiana.

Ein Prosit è un evento che propone a questi mondi molte eccellenze tipiche della cultura enogastronomica italiana e punta a valorizzare quei prodotti di nicchia che sono frutto di un artigianato del gusto testimonianza dei grandi miglioramenti avvenuti nel comparto agricolo e agroalimentare italiani.

Ein Prosit è dunque meta ambita dagli amanti del buon cibo e del buon vino, ma il percorso per raggiungere Tarvisio, e più nello specifico il Palazzo Veneziano di Malborghetto, sede della mostra assaggio, nasconde altri ammiccamenti e già dal fondovalle Venzone, patria della lavanda, sa inebriare il cacciatore di emozioni con i suoi richiami provenzali.

Poi, seguendo i consigli di Walter Filiputti, che ha cantato con passione e profonda conoscenza queste terre, a Stazione Carnia si imbocca la Pontebbana per inoltrarsi nel Canal del ferro, così chiamato perché era la via attraverso la quale scendeva il minerale, scavato nelle miniere alpine, verso i porti dell’Adriatico. Vallata che, disegnata dal fiume Fella, non lascia minimamente immaginare le tante bellezze e bontà che nasconde.

Proseguendo, ecco Moggio Udinese disteso attorno alla sua abbazia e poi Chiusaforte, dove il fiume forma una gola, che i potenti di tanto tempo fa usarono per riscuotere lauti pedaggi.

La Pieve di Santa Maria Maggiore di Pontebba custodisce uno dei più begli altari lignei che si possano vedere, il Flügealtar o “Altare alato”, opera del Maestro Enrico da Villacco.

Superata Pontebba si entra nella Valcanale, che ci porterà a Tarvisio fino al Monte Forno, sulla cui sommità convergono, in un unico punto, i confini dell’Austria, della Slovenia e dell’Italia. Le etnie tedesca, slava e italo-latina hanno scritto le pagine fondanti della storia culturale, religiosa e civile dell’Europa. Il modello è nato dal basso, dal popolo. Infatti, mentre i potenti scatenavano guerre e spostavano i confini avanti e indietro, qui le popolazioni tessevano una rete di convivenza reale che le ha portate, nei secoli, a mescolare culture, usi, costumi e cucina.

Nella chiesa della Madonna del Lussari si ritrovavano e si trovano tuttora a pregare assieme sloveni, carinziani e italiani: esempio per un’Europa, che di questi tempi fa tanta fatica a riprendere la retta via da seguire. Questa convivenza si coglie anche nei piatti tradizionali dell’intera area, che ha prodotto una stupenda e inimitabile ibridazione in cucina, preservata con un orgoglio non fazioso, ma fortemente caratterizzato dalla cultura di appartenenza e dalla vera capacità di vivere il territorio nella dimensione corretta e sostenibile. Questa sensazione si coglie tra coloro che allevano bestiame o producono ortaggi bio, negli chef che si ispirano, per i loro piatti, alle loro escursioni tra i boschi, tra i prati e tra le malghe.

Forse non molti sanno che Tarvisio possiede una delle più belle e vaste foreste d’Europa, con i suoi oltre 23.000 ettari di superficie. Così come non molti sanno che nella foresta vegeta l’Abete che canta, ovvero l’Abete di risonanza, dal cui legno un friulano doc, il maestro Gio Batta Morassi, dà vita a violini ricercati in tutto il mondo.

Nel Tarvisiano c’è la più grande e importante malga dove si fa formaggio da secoli: quella del Montasio, di fronte al massiccio del Canin.

Bisogna proprio ricordarlo! molti dovrebbero salire quassù, non solo perché attratti dai profumi e dai sapori di Ein Prosit. Vino e food, come da anni sostiene Vinibuoni d’Italia, devono diventare volano per completare il viaggio attingendo al genius loci e ai suoi saperi; per respirare la cultura e le bellezze dei territori; per godere di panorami e proposte gastronomiche davvero unici; per immergersi, come nel Tarvisiano, in un uno spazio/tempo in cui passato e presente convivono all’unisono.

Fonte “La valle dei tre confini” di Walter Filiputti

Vinibuoni d’Italia Biblioteca

Pigato principe di Ponente

L’arco geografico della Liguria è stretto tra il mare e le montagne che cadono a ridosso del perimetro costiero. La morfologia del territorio condiziona il clima e regala alla regione una ricca varietà vegetativa e di coltivazioni. Infatti nella zona costiera, pini marittimi, agavi, palme, antichi borghi suggestivi contrastano, forti della loro solenne e indomita storia, gli insediamenti abitativi che hanno ubbidito alla selvaggia speculazione edilizia degli anni settanta; poi, man mano, salendo verso la collina questi cedono il posto a boschi di castagni e faggi a loro volta sostituiti, ad altitudini maggiori, da distese di pini, abeti e larici.

La zona collinare, quella dell’immediato entroterra, la più tipica della Liguria, è ricoperta dagli olivi e dalla vite e il paesaggio è movimentato dalle “fasce”, le tipiche terrazze coltivabili alla cui realizzazione si sono dedicati nei secoli gli agricoltori e i vignaioli della regione.

È su queste terrazze che la Liguria vanta la sua gelosa e secolare tradizione vitivinicola. Il ritrovamento di alcuni antichi documenti permette di affermare con certezza l’esistenza e la coltivazione della vite già durante l’Impero romano. La coltivazione venne incrementata decisamente durante tutto il Medio Evo e già allora erano due le aree significative per la qualità delle loro produzioni: la zona intorno a La Spezia, ovvero le Cinque Terre e la Riviera di Ponente.

Produzioni piccole e di piccoli produttori che non si sono mai fatti ammaliare dalle modaiole tentazioni di introdurre nel territorio vitigni internazionali, ma hanno preservato, più che altrove, le antiche coltivazioni di vitigni, che permettevano di creare quella cuvée locale che andava sotto l’affettuoso nome di Nostralino. In versione rossa o in versione bianca, il Nostralino nella tradizione contadina ligure rappresentava il vino frutto dell' assemblaggio di tutte le varietà di uva presenti nel vigneto. A Ranzi, frazione di Pietra Ligure, sul panoramico Colle della Madonnina, in una conca naturale immersa nel verde e nella quiete della campagna, si svolge la tradizionale “Sagra del Nostralino”. Si tratta di una delle prime sagre campestri liguri, che richiama frotte di turisti e di buongustai alla ricerca di antichi sapori. Nel Nostralino convergevano varietà di vitigni tuttora presenti, come l’Albarola, il Bosco, il Vermentino, la Bianchetta genovese, lo Scimiscià, la Lumassina, la Granaccia Ligure, la Pollera Nera, il Rossese di Dolceacqua, l’Ormeasco, il Vermentino e il Pigato.

Il suo nome deriverebbe dal termine dialettale “pigau”, che indica la macchiolina color ruggine presente sugli acini maturi. Il nome tuttavia potrebbe derivare dal latino picatum, che indicava i vini aromatizzati degli antichi Romani.

Le origini rimangono comunque incerte, sebbene oggi si sia propensi a credere che il Pigato abbia natali in Grecia; ipotesi molto probabile vista la storia di molti vitigni italiani. La sua importazione appare comunque più recente, infatti, contrariamente alla tradizione, sarebbe arrivato dalla dalla Tessaglia solo nel 1600 come sottotipo del Malvasia.

La documentazione piu antica risale al Bollettino Ampelografico del 1883 che lo indica come molto coltivato nella zona di Albenga, e in misura minore in Val d’Arroscia, in provincia di Imperia: zone che oggi sono il maggiore habitat di coltivazione del Pigato.

Fedele espressione del territorio, il Pigato non si piega solo alle variazioni climatiche, ma interpreta anche la diversa composizione dei suoli. Sulle terre bianche, ricche di calcare, il Pigato sfoggia maggior finezza e freschezza, mentre sulle terre rosse, in presenza di componenti ferrose, acquista maggior corpo e una marcata vena minerale.

Le uve Pigato permettono interpretazioni diverse.

Le versioni fresche e giovani ci portano ad apprezzare un bicchiere caratterizzato dai profumi della macchia mediterranea e note fruttate in cui spicca la pesca bianca. La bocca mette in bilancia armonia, freschezza, equilibrio e sapidità con richiami alla mandorla su finale per lo più persistente.

Interessanti alcune versioni che mettono in evidenza anche il potenziale d’invecchiamento, che nei casi più interessanti lasciano che il Pigato sviluppi interessanti sentori terziari di resina di pino marittimo e idrocarburo; più complessi e di maggior struttura, spesso anche grazie a macerazioni sulle bucce o parziale affinamento in legno.

La versatilità del Pigato ci porterà anche alla sua declinazione in bollicine ottenute con Metodo Classico, vedi il millesimato di VisAmoris e le versioni proposte da Durin, invecchiate nelle grotte di Toirano.

Infine, le versioni passite si propongono con un piacevole equilibrio tra dolcezza e acidità.

Non perdetevi il Pigato Selezione Bon in da Bon 2015 di Bio Vio, che già buono ora, darà il meglio di sé; quando i suoi profumi secondari, di pesche e mandorle, vireranno su note idrocarburiche, uniche e ammalianti. Provate la brezza del mare che traspira dalle bottiglie del Pigato Cycnus 2015 di Poggio dei Gorleri, nel cui bicchiere potrete apprezzare profumi di frutta, agrumi e fiori bianchi che ritroverete in successione in un assaggio fresco ed equilibrato, di viva sapidità.

Per la vostra permanenza e i vostri tour due i punti di riferimento:

Poggio dei Gorleri

Via San Leonardo – Frazione Gorleri

181013 Diano Marina - Sv

www.gorleriwineresort.com

Bio Vio – Agriturismo del Pigato

Via Crociata 24

17031 Albenga

www.biovio.it

Presso queste strutture, che affiancano le omonime cantine, il Pigato si fa regale avendo ottenuto dalla guida Vinibuoni d’Italia i massimi riconoscimenti.

Barbera, Il vino che svela il Monferrato

 

La prima citazione della Barbera appare in un documento catastale del 1512 del comune di Chieri, nei pressi di Torino. Circa 100 anni dopo, nel 1609, in una lettera rinvenuta nell’Archivio Comunale di Nizza Monferrato, risulta che vennero inviati “nel Contado di Nizza de la Paglia appositi incaricati per assaggiare il vino di questi vigneti, e in particolare lo vino Barbera per servizio di S.A. Serenissima il Duca di Mantova e di pagargli al giusto prezzo”.

Il silenzio di secoli si interrompe quando nel 1873, nei trattati di ampelografia di Leardi e Demaria a proposito della Barbera, si legge “… È vitigno conosciutissimo ed una delle basi principali dei vini dell’Astigiano e del basso Monferrato, dove è indigeno e da lunghissimo tempo coltivato…”.

Quando nel XIX secolo, con la nascita della piccola proprietà contadina, la viticoltura prese grande impulso in Piemonte, il vitigno Barbera venne scelto perché si trattava di un’uva che produceva in

modo regolare con una buona resa in mosto; forniva vini piuttosto alcolici e colorati, in più l’elevata acidità fissa facilitava la conservazione del vino.

Nizza Monferrato e il suo circondario furono l’area dove il vigneto di Barbera venne coltivato in purezza varietale, mentre nelle altre aree del Monferrato e del Tortonese era più frequente il vigneto “misto” e nelle Langhe e nel Roero, pur essendo ben presente, era superato per superficie dal Nebbiolo e dal Dolcetto.

Alla fine degli anni ‘80 l’anima della Barbera, quella d’Asti e del Monferrato, esplose grazie a un grandissimo personaggio: Giacomo Bologna, il vignaiolo genio che trasformò la Barbera togliendole la patina plebea per sollevarla a vino di pregio. Quando l’Italia del vino fu messa in ginocchio dallo scandalo del metanolo, comprò una pagina su La Stampa, non per farsi pubblicità. Fece solo scrivere, come uno slogan su un muro: “W la Barbera”.

Il resto è storia recente. L’innalzamento della qualità fu perseguito attraverso il miglioramento delle tecniche di vigneto, la selezione clonale, la riduzione delle rese per favorire una più alta qualità, la scelta oculata della data di vendemmia. In cantina, le nuove tecnologie favorirono il controllo della fermentazione malolattica, il cui meccanismo non era conosciuto fino a qualche decina di anni fa, per cui il vino fu reso più morbido al palato; infine l’affinamento in botti di legno di rovere e in barrique innalzò il vino ai piani nobili.

La Barbera non è un vitigno “cosmopolita”, infatti fornisce le sue migliori performance enologiche, con vini di corpo, struttura e complessità, nella fascia collinare del Piemonte compresa tra la pianura del Po a nord e gli Appennini a sud, e in Lombardia nella zona dell’Oltrepò Pavese.

Il vitigno predilige esposizioni calde e soleggiate e terreni calcarei piuttosto ricchi di limo e argilla e carbonati.

L’area di coltivazione piemontese coincide con il vasto comprensorio collinare noto ai geologi come bacino terziario piemontese, originato dal sollevamento del letto del mare, e la concentrazione maggiore

la troviamo nel Sud Astigiano, tra Tanaro e Belbo (Nizza, Vinchio, Agliano, Costigliole…) con prevalenza della Docg Barbera d’Asti, e, con minore intensità, ma sempre come vitigno principale, a Nord del Tanaro (Nord Astigiano e Monferrato Casalese) con le denominazioni Barbera d’Asti e Barbera del Monferrato.

Il vitigno lo troviamo anche molto diffuso nelle Langhe e nel Roero con la Doc Barbera d’Alba, con il nome Barbera preceduto dal territorio nelle Doc Colli Tortonesi, Colline Pinerolesi, Colline Torinesi, Colline Novaresi, Canavese, Piemonte e, senza citazione del nome del vitigno, nella composizione delle seguenti Doc: Rubino di Cantavenna, Gabiano, Alba, Coste della Sesia Rosso, Langhe Rosso e Monferrato Rosso. La Barbera è dunque uno dei vitigni più rappresentativi del Piemonte e interessa circa il 35% dei 53.000 ettari di superficie vitata della regione.

Nessun tipo di rovere o di contenitore può sostituirsi alla qualità dell’uva e tanto meno al vigneto, perché finalmente i vignaioli hanno imparato che proprio dal vigneto trae origine la qualità che caratterizza il millesimo di quel vino. Oggi la carta d’identità di un vino di eccellenza è molto complessa, ma, oltre alle caratteristiche organolettiche intrinseche al vino, si chiede che alle spalle abbia un territorio ben definito, una storia importante e la testimonianza che abbia fatto parte della cultura della civiltà contadina.

La Barbera possiede tutte queste caratteristiche e le manifesta soprattutto in quel territorio che nell’Astigiano e nel Monferrato, oggi, è per buona parte patrimonio dell’Unesco.

Oggi la Barbera rappresenta senza dubbio, e forse più di ogni altro vino, un prodotto in continua evoluzione, che cresce seguendo le nuove conoscenze in campo viticolo ed enologico e che, per qualità e numeri, può essere proposto a un pubblico contemporaneamente curioso, esigente e vasto. Ottenuta la Doc nel 1970, a pieno titolo è considerata tra i più importanti vini rossi italiani e conquista crescenti consensi a livello internazionale, perché trova interpretazione in una ricca gamma di vini, contraddistinti da stili ben definiti: quelli che non subiscono alcun passaggio in botti di legno, per non perdere le caratteristiche primarie; quelli che maturano in botti di grandi dimensioni, per migliorare in complessità nel rispetto della tradizione; quelli che si completano con un passaggio in piccole botti di rovere, acquisendo stoffa ed eleganza, rivolte a un gusto più internazionale.

Ci sono sfumature differenti che caratterizzano la Barbera d’Asti in base ai territori e ai vigneti di origine e alle tecniche di vinificazione. Alcuni caratteri comuni sono il colore rosso rubino, particolarmente intenso nelle tipologie Superiore, tendente al granato con l’invecchiamento. Il profumo è vinoso ed è marcato il frutto: la ciliegia, la prugna, le bacche scure, che evolvono in sentori di confettura e frutta sottospirito, quindi note più o meno intense balsamiche, speziate e talvolta floreali; con la maturazione in legno sviluppa sentori di cannella, cacao e liquirizia. Al gusto risulta piena, l’impatto in bocca è di grande immediatezza, calore e armonia. La vena acidula tipica del vitigno, che nelle vinificazioni moderne è equilibrata e non eccessiva, le conferisce freschezza e grande facilità di abbinamento con il cibo. L’affinamento regala complessità e ricchezza di tannini dolci e vellutati e una lunga persistenza gusto-olfattiva. La Barbera d’Asti Superiore è ottenuta da attente cure e selezioni delle uve in vigneto ed è affinata in cantina per un periodo minimo di dodici mesi, durante il quale deve trascorrere almeno sei mesi in botti di legno, completato da un periodo di maturazione in bottiglia. Si tratta di vini molto longevi, che si apprezzano anche dopo dieci anni di permanenza in bottiglia.

Il Nizza Docg, ottenuto al 100% con sole uve Barbera, gode della specifica denominazione territoriale garantita dal dicembre 2014; prevede anche la dicitura Riserva. In base al disciplinare può esserci anche la menzione della vigna seguita dal relativo toponimo, con rese medie di 6,3 tonnellate ad ettaro contro le 7 della menzione riserva.

La Doc Monferrato che accompagna la Barbera è la più estesa: comprende le aree collinari viticole della provincia di Asti e tre comprensori viticoli (su cinque) di quella di Alessandria, che fanno capo alle tre cittadine di Acqui, Casale Monferrato e Ovada. Il disciplinare di produzione prevede oltre al vitigno Barbera il possibile impiego di altri vitigni, Freisa, Dolcetto o Grignolino, fino a un massimo del 15%. Ne esiste una versione tradizionale vivace, cioè leggermente effervescente, da consumare giovane. C’è poi la versione più austera della Barbera del Monferrato, la Superiore che, come la Barbera d’Asti, è un vino Docg dal 2008. Il disciplinare prevede un periodo di affinamento in botti di rovere, piccole o grandi. Nella maggioranza dei casi può essere frutto di Barbera in purezza o di assemblaggio con un massimo del 15% di Freisa (utilizzata nel Monferrato Casalese), Dolcetto (impiegato nell’Alto Monferrato) o Grignolino.

La Barbera può essere vino da tutto pasto, completa e soddisfacente in ogni occasione. Se affinata e strutturata sposa particolarmente bene i secondi piatti quali gli arrosti, il coniglio, il fritto misto e i formaggi a pasta dura dal gusto potente; più giovane, esalta oltremodo anche i tradizionali minestroni piemontesi (da quello di ceci e costine di maiale a quello di fave) e le polente tipiche, che caratterizzano la ‘cucina povera’ astigiana.

Una giovane Barbera è inseparabile dal piatto, che per antonomasia, racconta il Piemonte, ovvero la bagna caôda, ma anche con l’insalata di carne cruda di fassone piemontese, con i peperoni scottati alla fiamma, i fiori di zucchino ripieni; il cardo gobbo di Nizza con fonduta; tra i primi piatti gli agnolotti quadrati e quelli del plin; tra i secondi, il fritto misto piemotese, il bollito (con vari tagli di carne bovina piemontese compresa la testina).

Le suggestioni turistiche del Monferrato sono in grado di mescolare un paesaggio di dolci colline con testimonianze storiche di prima rilevanza, città di grande fascino e piccoli insediamenti dominati da castelli. Il Monferrato, infatti, terra ricca di storia e di tradizione, coniuga un paesaggio in gran parte integro nei suoi caratteri originali. Per ammirarlo e gustarlo al meglio, la Strada del Vino del Monferrato Astigiano (www.stradadelvinomonferrato.it) propone una serie di itinerari, attività ed eventi; un’ottima occasione per fermarsi qualche giorno sul territorio, scegliendo tra B&B, agriturismi, Relais…  Il mio consiglio vi porta a scoprire la pace, il relax e il confort di Tenuta Montemagno Relais&Wines.

 

Tenuta Montemagno Relais&Wines

Via Cascina Valfossato 9, 14030 Montemagno AT

Tel.0141 63624

www.tenutamontemagno.it

 

Galeotta fu la Falanghina

Come scriveva tempo fa Luciano Pignataro nella sua guida ai vini del Sannio: “Benevento  è la dispensa del vino campano: questa magnifica provincia, ricca di verde e facile da percorrere in lungo e in largo, produce da sola oltre la metà del prodotto Doc e Igt”.  

Una dispensa sì - condivido - , ma certamente anche uno scrigno prezioso di prelibatezze enoiche e gastronomiche che ho avuto modo di conoscere e gustare direttamente in un mio recente viaggio nel Sannio.

Galeotta fu la Falanghina, che non annoverando alcuna corona nell’edizione 2017 della guida Vinibuoni d’Italia, ha invogliato una produttrice, Mariateresa De Gennaro titolare con il marito Piero dell’azienda Rossovermiglio, ad invitarmi in loco per approfondire meglio il mondo in cui il vitigno nasce. Un invito condiviso dal Consorzio di tutela dei vini del Sannio che mi ha onorato di una guida speciale, Carlo Pasquale, che non solo conosce ogni zolla del territorio, ma ha saputo svelarmelo con passione e dovizia.

Il paesaggio del Sannio Beneventano ha qualche cosa di magico. Uno sguardo alla Dormiente, ovvero il massiccio calcareo del Taburno quasi isolato nella sua imponenza dall’Appennino campano, dà un senso di antica autorevolezza, ma anche un’aura di protezione estesa ad una regione dalla lindezza svizzera che poco ha a condividere con gli stereotipi con cui spesso si dipinge la Campania.

Una montagna solenne che suscita rispetto ed evoca le glorie storiche del popolo Sannita nelle epiche lotte ingaggiate da Roma per domare sotto il suo gioco una popolazione irriducibile e orgogliosa della propria libertà.

Oggi il Sannio vive la sua viticultura nel segno di una consolidata tradizione contadina e con una attiva presenza di imprenditori di settore che esaltano la vocazione del territorio. La visione del futuro poggia sul vissuto quotidiano dove storia e cultura si mescolano in un paesaggio naturale e rilassante.

La storia è parte di questa cultura ed è consolidata dai ritrovamenti effettuati che permettono di affermare che la coltivazione della vite nella provincia di Benevento ha origini antiche risalenti al II secolo a.C.
 Infatti nel paese di Dugenta è stato ritrovato un imponente deposito, con relativo forno di produzione, di anfore utilizzate per la conservazione ed il commercio del vino. Gli studiosi non hanno dubbi nell’affermare che questa fabbrica di anfore aveva stretta attinenza con la produzione e il commercio del vino, che serviva a soddisfare non solo la richiesta locale, ma anche quella di altre popolazioni.


Le emozioni della storia hanno accompagnato in ogni sito il mio viaggio, arricchite ogni volta da testimonianze tuttora vive, come gli antichi torchi risalenti al ‘500, le tradizionali vetuste masserie in pietra ristrutturate e restaurate, capaci di unire antichissime glorie all’attualità. Un’attualità di produttori intraprendenti sempre di più attenti al biologico e protagonisti di progetti di ricerca e di sperimentazione. Proprio quello che oggi deve rappresentare il vino italiano nel contesto del mercato globale: qualità del prodotto, ma soprattutto la correlazione del vino con i valori “immateriali” che questo sa raccontare grazie alla sua unicità, identità e rarità.

Qui, nel Sannio, i vigneti si colorano di storia e ogni versante diventa testimone della biodiversità che intercorre da una zona all’altra. Le vigne si fanno racconto di cultura, come depone quella vigna centenaria ubicata in contrada “Pantanella”, dove la Cantina del Taburno raccoglie le uve per il Bue Apis, vino prodotto esclusivamente con bacche di Aglianico amaro, l’antico clone originario.

Altrove i filari ci invogliano a ricordare uve antiche come l’Agostinella, la Barbetta, il Sommarello, lo Sciascinoso, il Grieco, la Malvasia, l’Olivella, il Carminiello, la Palombina.. le cui specie - non tutte - ritroviamo nel vigneto didattico dell’Antica Masseria Venditti di Castelvenere, risalente al 1595. Qui, la sosta conviviale della sera, ha portato in tavola, nei piatti di tradizione cucinati dalla signora Enza Verrillo, moglie di Nicola, il gusto e l’evocazione di un rituale ecumenico benedetto dalla sacralità del cibo.

In questa opera disegnata dall’uomo in collaborazione con la natura, la bianca Falanghina, unitamente alla vigorosa e possente intonazione dell’Aglianico, è vino soprano che gorgheggia autoctono.

Falanghina perchè?

L’origine del vitigno, come per molte varietà del sud Italia, viene fatta risalire alla colonizzazione greca. La Falanghina è diffusa un po’ ovunque nelle regione Campania, tuttavia le zone più vocate si trovano nel Sannio e nell’area vulcanica dei Campi Flegrei. Diversi i cloni, differenti per forma e per dimensione, ma molto simili per caratteristiche organolettiche.

Una prima interpretazione individua la Falanghina come figlia del Falerno Bianco, antico vino campano già conosciuto al tempo degli antichi Romani. Il suo nome deriverebbe pertanto dalla radice Falerno o Falernina.

Altra ipotesi, invece, fa derivare il nome dalla parola falanga, antico sinonimo dei pali utilizzati per sostenere le viti.

Negli ultimi decenni, la Falanghina ha abbandonato il ruolo secondario che le veniva attribuito, per affermarsi come una delle varietà a bacca bianca più apprezzate della Campania. La coltivazione con basse rese, le vinificazioni sempre più accurate, ne hanno fatto un vino di buona personalità.

La Falangina del Sannio Doc viene declinata nelle sottozone di Solopaca, Guardiolo, Taburno e Sant’Agata dei Goti. Il clima fresco del territorio, con escursioni termiche, piuttosto decise, l’origine vulcanica dei suoli ricchi di minerali donano al vino un profilo elegante, con piacevole freschezza e sapidità finale.

Ed è così che si sono presentati i calici degustati all’Enoteca comunale di Castevenere, sotto la guida di Carlo Pasquale e in collaborazione con il mio coordintore Andrea de Palma. Vini, che negli stili diversi dei produttori e con le più o meno marcate influenze pedoclimatiche delle aree di provenienza, hanno accomunato un profilo sensoriale dove il profumo era dominato da note fruttate di mela e frutti esotici; richiami floreali di ginestra e di biancospino; vini piacevoli e freschi di acidità, sostenuti da uno scheletro portante sempre dritto.

Ma la sorpresa è arrivata dalla versione 2008 “Facetus” dell’azienda Fontanavecchia di Orazio e Libero Rillo, che si è espresso al naso con un complesso bouquet olfattivo, con richiami di albicocca essiccata e frutta candita; fine la struttura muscolare e insistente la freschezza corroborata da lunga persistenza. Qui la Falanghina ha dimostrato di saper integrare a meraviglia le componenti fruttate e varietali con quelle terziarie.

E’ dunque verità il claim elaborato dal Consorzio “Nel Sannio coltiviamo emozioni”. Ne ho avuto riprova dai commenti favorevoli della mia coordinatrice Piera Genta, che ha partecipato a metà marzo al wine-tour promosso appunto da Consorzio, che ha dato l’opportunità ad importanti giornalisti del settore di scoprire il ricco territorio viticolo sannita e degustarne la variegata produzione enologica, con un’attenzione particolare rivolta alla gastronomia, alle bellezze paesaggistiche ed architettoniche e alle ricchezze artigianali. Un modo per fare sistema, con il vino volano di promozione turistica.

Ora bisogna insistere nella comunicazione per portare questo tassello del ricco mosaico enologico italiano agli onori che merita.

Ben vengano, in questo senso, personaggi appassionati e competenti come Mariateresa De Gennaro, che richiedendo un confronto con la guida Vinibuoni d’Italia, di fatto ha avvertito la necessità di far comprendere più fondo il territorio e con esso le potenzialità della Falanghina, della cui varietà il suo vino rappresenta interpretazione autentica.

Poichè il vitigno Falanghina è utilizzato in molte altre Doc della Campania, sia in purezza, sia in assemblaggio con altre uve a bacca bianca autoctone - Falerno del Massico Bianco Doc, Campi Flegrei Doc, Costa d’Amalfi Doc, Penisola Sorrentina Doc, Capri Doc, Galluccio Doc e Vesuvio Doc – ecco che il vino che ne deriva può diventare il volano e il file rouge di un tour enogastronomico decisamente affascinante in giro per la Campania.

A Benevento non perdetevi la cucina casalinga e storica di Nunzia. La genuinità dei piatti che si ripetono da anni, la semplicità della sala, il piacere dimostrato della proprietaria di sedersi a tavola con te per scambiare una piacevole chiacchierata, sono solo alcuni degli elementi che fanno di Nunzia un luogo unico. Gustatevi la tradizione con il suo Cardone (brodo di pollo con cardi e polpettine), con gli insuperabili Scarparielli (spaghetti alla chitarra con pomodoro), con la salciccia e provola ai ferri e l’ottimo babà accompagnato – siamo a Benevento - da un bicchiere di Strega.

Per trascorrere una notte d’incanto, fatevi indicare la Masseria Roseto ; un luogo di charme e di assoluta tranquillità, dove gli ambienti sono stati restaurati preservando e valorizzando l’antica struttura arricchita con gusto e con tutti i comfort moderni.

Se la Falanghina è il vino guida della Campania, godetevi un giorno di pieno relax al Savoy Beach Hotel nel cuore del parco nazionale del Cilento. Il romantico ristorante “Tre olivi” vi rimette in sintonia con la tradizionale cucina locale, mentre poco distante l’Azienda San Salvatore 1988 concluderà la vostra esperienza con un rinnovato calice di Falanghina a cui ha dedicato le sue affezioni Peppino Pagano. Un tassello di eccellenza che sta trasformando questo lembo di piana del Sele in un vero e proprio paradiso dell’ospitalità e dell’enogastronomia.

Altra tappa all’insegna della Falanghina fatela in Irpinia, dove sul crinale di una collina con panorama mozzafiato troverete, a Torre le Nocelle, l’azienda “I Capitani” con il loro agriturismo immerso tra vigneti e olivi simili a giardini. Qui i sapori di una cucina di tradizione abbinata ai vini di proprità vi faranno apprezzare ulna terra ricca di storia e cultura.

Ancora nell’Irpinia, a Sant’Angelo all’Esca, gli enoappassionati avranno l’opportunità di conoscere un terroir affascinante grazie ai winetour che l’azienda Tenuta Cavalier Pepe prevede per gli ospiti: la visita ai vigneti, alla cantina con la spiegazione dei processi di vinificazione e la visita alla alla bottaia con la dehgustazione dei vini tipici del territorio.

Mario Busso
Curatore Nazionale Vinibuoni d’Italia